La rivoluzione digitale ha trasformato non pochi settori della vita economica e sociale dell’umanità, mettendo in pratica lo spirito cosmopolita del socialismo globale, con la realizzazione in tempi da record della rete internazionale, di comunicazione e scambio dati prima, di scambio merci e servizi poi.

Il tema è ardito e la tentazione di vergare una lectio magistralis è grande, ma resisterò a favore, spero, della semplicità e della chiarezza. 1979145_287806291415698_1855802443355702909_o

Ovvio che in questo scenario abbiano visto deperire le loro risorse tutte le realtà che agivano nei settori analoghi con supporti di tipo tradizionale, soprattutto quelle che non hanno avuto il coraggio e la lungimiranza di convertirsi; ma questo non è dipeso dalla “moda” delle tecnologie, come troppo spesso da veri struzzi molti imprenditori hanno ripetuto, ma dalla rottura delle barriere localistiche.

Capiamoci: non è il bottegaio sotto casa tanto a farne le spese, quanto la grande distribuzione localizzata e non specializzata; faccio un esempio tirando in campo uno strumento teoricamente “vecchio”: il telemarketing; chiunque, davanti alla tivù, acquista a prezzi vantaggiosi prodotti industriali a costo ridotto, e questo perché sul prodotto acquistato non gravano i costi della distribuzione. Ergo è la grande distribuzione “localizzata” che si vende troncare, come la mano di capitan Uncino, il punto vendita sul territorio, e che deve correre ai ripari.

Questa è la ragione, nella gran parte dei casi, che vede ridursi drasticamente la forbice di prezzo tra un prodotto da banco di un gross market e lo stesso in bottega rionale; l’utente finale (cioè tutti noi) torna ad acquistare in bottega perché a fronte di una differenza di costo non più particolarmente accattivante come un tempo, trova calore e rapporti umani, oltre che alla qualità spesso più attendibile.

Siamo, anche se non ve ne siete accorti, al cuore del problema: il mercato globale, complice la grande rete di comunicazione, e la trasformazione che sta subendo la grande distribuzione grazie agli acquisti direttamente effettuati sui media (internet, tivù, telefonini) necessita non solo di un cervello che vada a mille, e i nuovi computer grazie ai sistemi operativi di ultima generazione, totalmente integrati nella grande rete internet (praticamente ormai sono una cosa sola) ma anche di un cuore che batte, forte, per tutti e per ciascuno.

Al di là delle paure meno controllate Internet non ha distrutto i sentimenti! Tutt’altro! Li ha rinsaldati e ha creato comunicazione grazie ai social network.

Chi ha vissuto gli anni ’70 nelle grandi città, ma soprattutto a Milano, e chi ha studiato le tecniche innovative di urbanizzazione sociale, spinte dall’impulso creativo delle idee socialiste e troppo spesso eccessivamente premature per non fallire miseramente, ricorda certamente il mito del “ballatoio”; una sorta di terra di nessuno dove tutti potessero, su un piano di assoluta parità, dialogare, scambiarsi idee, impressioni, progetti, sentimenti.

È la classica Coorte comune, con la differenza che non esistono “disparità”, né culturali, né sociali, e questo non per scelta individuale, ma per regola sociale! Una regola invalicabile perché dettata non da un sistema di potere, capitalista o meno che potesse essere, ma da una entità troppo super partes per poter essere contradetta: il Gioco.

Signori, è regola che tutti conosciamo, sin da bambini: se a questo mondo c’è una cosa seria davvero, questa è il gioco.

Bene! Sia i sentimenti, sia il gioco, sia le necessità primarie hanno un comune denominatore che ne consente il trasferimento dall’idea alla realtà, dal sogno alla concretezza: la parola, il dialogo, il confronto, in una “parola”: la “comunicazione”; ma la Comunicazione senza questi elementi essenziali, che sono sentimenti, necessità e gioco, non funziona!

Tutti ricordano il grande tonfo economico delle new entry del mondo dell’informatica applicata, quando, disdegnando i progetti concreti di studio e ricerca applicata al mondo industriale, volsero lo sguardo all’Arte e puntarono sul disegno creativo sfornando i primi programmi di disegno e le prime costosissime schede grafiche e pittoriche. Gli SMAU a Milano per anni ne decretarono un fallimento dopo l’altro fino a quando gli sviluppatori della Microsoft da una parte, quelli di Apple dall’altra non si fecero trascinare dall’ultima moda dei cervelloni della Silicon Valley, folli invasati che sognavano direttamente in codice numerico, e che dedicavano il loro tempo libero a creare, probabilmente inconsapevoli,  il futuro della comunicazione: il gioco interattivo on line, con grafiche dapprima semplici, come nella corsa dei cavalli, poi sempre più avveniristiche e complesse, grazie anche ai supporti hardware del colosso americano della telefonia AT&T.

Un impulso sottovalutato, spesso rimosso, nelle coscienze blasfeme degli industriali del secolo xx°, tutti tesi al business, all’obiettivo da centrare, al posto da conquistare, dimentichi, tutti, che da piccoli facevano lo stesso, ma per gioco, e sottovalutando e disconoscendo la serietà del gioco.

Ma il gioco è anima sociale e, soffocato che l’hai nel lavoro, di cui è vera anima artistica e passionale, risorge impetuoso nel desiderio della gente artatamente soffocata dalle necessità perché si tramuti, secondo un principio perverso che impronta la stupida economia frutto della rivoluzione industriale, in homo consumista.

Bisogno, negazione, condizionamento verso un surrogato, desiderio del surrogato, lavoro finalizzato non più alla realizzazione di sé ma alla acquisizione del bene surrogato e illusorio della soddisfazione del bisogno.

Ma il vero desiderio di soddisfazione del bisogno primario si fa strada comunque sparigliando i giochi e imponendo il suo.

Quando nacque la grande rete, finanziata ma non finalizzata dalle risorse militari ancora ingenti, nacque all’insegna di un grande patto di democrazia: la condivisione delle risorse e dei risultati delle ricerche delle Università dapprima americane, poi internazionali: il Sapere, la Conoscenza, non era e non è patrimonio di nessuno! Questa è l’anima della Rete, ancora viva e pulsante nonostante i tentativi da parte del Sistema capitalista di soffocarla e di ridurla al silenzio.

Questa è la tigre da cavalcare oggi, ma, come i seguaci della magica dea Kali sanno bene, essa va cavalcata e domata con sentimento e intuito creativo; e sentimento e intuito sono frutto di sacrificio e abnegazione.

È l’ultima strada che può condurre l’Umanità alla visione mistica della Luce, o, se preferite, ad uscire dal tunnel dell’egoismo cieco e diventare un vero corpo sociale e pulsante di vita e di gioia? No, non lo credo, ma, certamente, oggi è la via più attuale e privilegiata; la via che parla la lingua moderna, una lingua che possa essere capita da tutti: “parola” come espressione di sensazioni e sentimenti; “uguaglianza” come parità di diritti, doveri e strumenti (le armi nel gioco); “gioco” come la messa in moto del meccanismo che solo apparentemente è casuale, ma che invece segue regole precise dettate nei tempi e dimenticate, e che solo giocare consente di riscoprire; regole che hanno improntato la stessa creazione divina, e che l’uomo cerca incessantemente perché sono le regole che gli restituiranno il suo rapporto col dio. Gioco, Gioia.

Proseguire non voglio, ma voglio chiudere ponendo alla vostra attenzione due immagini: la prima è quella mistica della visione dell’anima che la rete ha materializzato consentendo a tutti di avere rapporti interpersonali che prescindessero dalla fisicità corporea e scoprendo una fisicità più duttile e diversa; la seconda è nella struttura bi-spiralica del gene umano, rappresentata splendidamente e imprescindibilmente nel disegno del Caduceo mercuriale: due serpi in amore intorno ad un bastone (e se il simbolo “medico”, erroneamente attribuito ad Ippocrate, ne disegna uno solo c’è un comunque un perché) che simboleggiano il risvegliarsi primaverile di una energia sopita: perché non due binari paralleli, come la odierna mentalità fortemente orientata alla materia suggerirebbe? Perché ad un maschietto che nasce si attribuisce un colore, il celeste, che è il colore sbiadito del simbolo acqueo e femminile? E alla femminuccia il rosa, che è il colore sbiadito del simbolo maschile del fuoco?

La coerenza, amici e amiche, è rigoroso frutto della razionalità, e della ricerca scientifica, e non è da disprezzare, tutt’altro! Non avremmo scoperto il fuoco, e le sue proprietà, altrimenti! Ma le regole che improntano la vita sono più complesse, e, come bene recita il libro delle mille foglie di Fo Hi, esse sono continuamente in cambiamento, perché la vita non è stasi, ma gioco, e il gioco, senza sentimento, rimane chiuso nella sua splendida confezione.

Vi chiederete: ma che c’entra con le nuove tecnologie e la comunicazione? Ecco, queste sono solo le vesti, le forme della scatola, il contenitore nuovo, che sostituisce e rimpiazza quelli vecchi, riunendoli in uno solo, più duttile, più bello, più agile e anche biocompatibile, ma sempre scatola resta! Per aprirla, e tirare fuori il giocattolo, e farlo funzionare occorre riappropriarsi dei vecchi e buoni canoni di una volta, quelli preconsumistici per intendersi: voglia di comunicare, desiderio di soddisfare i bisogni in maniera naturale, rispetto dell’altro, rispetto delle regole, rispetto di se stessi, curiosità e ricerca di un migliore rapporto con sé e con gli altri, in una parola “gioco”; ma il gioco, essendo la base della vita, è anche esso in continua trasformazione e in movimento: si reinventa continuamente concedendosi solo a chi è disposto a reinventarsi, continuamente, senza paura di troncare col passato; vi sembra poco?

L’Umanità non fermerà la propria crescita certo per l’interesse un pugno di affaristi, troppo chiusi nei loro schemi per giocare; sì, certo, ne faranno un business, ma la loro opera buia e supina servirà solo a rilanciare un turbine vitale del quale alla fine rimarranno solo come il combustibile che è servito a fare funzionare il motore: cenere e fumo; non certo inutili, ma neanche padroni e, men che meno, dei.

Enzo Li Mandri – giornalista

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