Burkini: il costume delle polemiche

Il burqini (o burkini) è un tipo di costume da bagno femminile, specificamente disegnato per le donne di religione musulmana: il costume copre tutto il corpo, ad eccezione del viso, delle mani e dei piedi, secondo i dettami dell’islamismo, ma è sufficientemente leggero da permettere di nuotare.

E’ composto da tre pezzi: cappuccio, casacca e pantaloni.

Come suggerisce lo stesso nome ‘burkini’ è concettualmente la fusione del burka con il bikini, che permette alle donne musulmane osservanti di mostrarsi su una spiaggia o in piscina senza spogliarsi e svelare il proprio corpo.

A crearlo, nel 2004, è stata una stilista australiana di origine libanese, Aheda Zanetti; l’idea, ha spiegato lei stessa, le venne guardando sua nipote mentre giocava a netball (una variante del basket): la ragazza si muoveva impacciata nel suo hijab.

Un problema che toccava tutte le donne di origine musulmana che volevano fare sport: “Ho fatto qualche ricerca e non ho trovato abiti adatti per lo sport e le donne pudiche”; così, l’australiana, ha dapprima immaginato un “hijood”, una fusione tra “hijab” e “hood”, (cappuccio, in inglese), una tuta adatta per il “pudore religioso”, e il Burkini è arrivato sulla scia.

L’idea in breve è diventata un marchio ed oggi rappresenta un business in crescita.

A prima vista sembrerebbe una tuta da sub, ma il tessuto è lo stesso poliestere dei costumi da bagno in lycra.

La polemica nata, inizialmente in Francia, sul divieto di “burkini”, prosegue: secondo il premier francese Manuel Valls, il costume islamico che nasconde il corpo femminile è “incompatibile con i valori della Francia e della Repubblica, in quanto basato su un’ideologia di asservimento della donna”.

Finora tre città francesi hanno messo al bando il Burkini per motivi di sicurezza dopo gli attacchi terroristici nel Paese; secondo Valls, il costume da bagno islamico costituisce una “provocazione ed una visione arcaica secondo cui le donne sono indecorose, impure e che quindi dovrebbero essere completamente coperte”.

E così il sindaco conservatore di Cannes, David Lisnard, lo ha vietato sulle spiagge cittadine, pena una multa di 38 euro, dichiarandolo “uniforme simbolo dell’estremismo islamico”.

È stato subito imitato da altre amministrazioni, molte delle quali hanno addotto motivi di ordine pubblico. Le prime multe sono già state staccate mentre alcune donne sono state fatte allontanare dalle spiagge colpevoli di essere “troppo coperte”.

Una provocazione inutile e pericolosa”, secondo il nostro ministro degli Interni, Angelino Alfano, che si è detto contrario a misure simili in Italia.

Scandendo slogan come ‘il terrorismo non ha religione’ oppure ‘questo non è vero Islam’, adottando queste scuse senza senso, la parte regressiva della sinistra occidentale ha involontariamente fornito uno spazio per il fiorire dell’islamismo”, sostiene l’attivista pakistano Umer Ali che in un articolo su “The nation” scrive: “Dire ‘il terrorismo non ha nulla a che fare con l’Islam’ è problematico come dire ‘tutti i musulmani sono terroristi”.

C’è chi dice che il divieto di burkini sia la conseguenza naturale del divieto del velo integrale, in vigore in Francia dal 2011; il burkini, però, non pone alcun problema di riconoscimento facciale o di sicurezza.

Il tema stavolta è esclusivamente sociale e culturale.

Come si può pensare di integrare vietando ad alcune di donne di fare il bagno in mare solo perché indossano un burkini? Chi ritiene il velo un indumento oppressivo, come crede di poter migliorare la condizione delle donne musulmane negando loro persino una nuotata?

C’è il rischio che, nel combattere l’estremismo islamico e le sue scorie culturali, l’Occidente stia diventando bigotto come coloro che dice di combattere.

 

Valentina G.

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