I matrimoni precoci contravvengono ai principi della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

Quante bambine e ragazze adolescenti sono pronte per il matrimonio?

Eppure 1 ragazza su 9, nei paesi in via di sviluppo, è già sposata prima di compiere 15 anni. Si stima che ci saranno circa 14,2 milioni di future “spose bambine” ogni anno fino al 2020. Queste bambine non vogliono sposarsi: vogliono una vita normale,  giocare con i loro amici e ricevere un’educazione. Questi matrimoni svestono tante ragazze della loro innocenza spesso prim’ancora della pubertà, e questo è intollerabile in una società globale come la nostra.

Si chiamano “matrimoni precoci le unioni tra minori di 18 anni; le spose bambine sono innanzitutto ragazze alle quali sono negati diritti umani fondamentali tanto da essere soggette a violenze, abusi e sfruttamento. Inoltre, esse vengono precocemente sottratte all’ambiente protettivo della famiglia di origine e alla amicizie con gli altri membri della comunità, con conseguenze sulla sfera affettiva, sociale e culturale. Al matrimonio precoce segue quasi inevitabilmente l’abbandono scolastico e una gravidanza altrettanto precoce e dunque pericolosa sia per la neo-mamma che per il suo bambino.

imagesL5IUCRRB, che sancisce il diritto, per ogni essere umano sotto i 18 anni, ad esprimere liberamente la propria opinione (art. 12) e il diritto a essere protetti da violenze e sfruttamento (art. 19), e alle disposizioni di altri importanti strumenti del diritto internazionale.

Occorre essere consapevoli che le radici di questo fenomeno risiedono in norme legate a strategie sociali proprie delle economie di sussistenza; in primo luogo l’esigenza di “liberarsi” il prima possibile del peso rappresentato dalle figlie femmine (ritenute meno produttive per l’economia familiare).

La geografia di questa pratica è complessa, tanto quanto la sua origine e la sua possibile estinzione. Nell’Asia meridionale e nell’Africa sub-sahariana si registrano il  46% dei matrimoni precoci, nelle stesse regioni in cui sono massimamente diffusi altri fenomeni come la mortalità materna e infantile, la malnutrizione e l’analfabetismo. In testa Niger, India, Mali, Sierra Leone, Etiopia, Bangladesh e Nepal.

Il matrimonio di una figlia femmina comporta, da parte del futuro marito, il pagamento di una dote alla famiglia d’origine della ragazzina; agli occhi di molti genitori rappresenta una forma di protezione per le proprie figlie, per garantire loro un futuro migliore soprattutto nei contesti rurali, ma le conseguenze per le piccole spose sono gravissime, quando non fatali. Le malattie, le complicazioni durante la gravidanze o il parto sono le principali cause di morte. Mancano del tutto le tutele per la loro salute, e i rapporti sessuali ottenuti con la violenza, per la legge non possono essere considerati stupri.

Anche se molti Paesi hanno stabilito le età minime per il matrimonio, non sempre vengono rispettate: in India l’età minima per le donne è di 18 anni, in Yemen non esiste un’età minima ma il 14% delle ragazze si sposa prima dei 15 anni, il 52% prima dei 18 anni. Nelle aree rurali le spose hanno appena otto o nove anni.

Nello Yemen, Rawan, aveva otto anni quando è stata data in sposa, anzi venduta, a un uomo di 40. Ed è morta per emorragia interna dopo la prima notte di nozze. La cronaca basta a raccontare l’orrore di una violenza difficilmente immaginabile. Il comandante della stazione di polizia si allinea agli standard locali, dove non è mai passata la legge che vieta il matrimonio alle bambine che hanno meno di 17 anni e che, alla fine degli anni ’90, fu abrogato il limite dei 15 anni.

Similmente, in Tanzania, ancora 4 donne su 10 si sposano prima dei 18 anni; una tradizione centenaria non ostacolata dalla legge che non prevede ancora un limite d’età per il matrimonio. Nella maggior parte dei casi i mariti vietano alle mogli di prendere decisioni sulle loro vite, venendo abbandonate con figli a carico senza alcun sostentamento. In alcuni casi le vittime hanno subito violenze anche da parte dei suoceri e ragazze di etnia Maasai sono state costrette a subire, come preparazione al matrimonio,  la mutilazione genitale.

Anche in un Egitto rurale, stretto nella morsa di problemi economici e politici, non fa notizia un vero e proprio traffico umano in continua crescita:

“Un giorno una vicina mi disse che al villaggio era appena arrivato un ricco pretendente saudita che voleva una moglie bella, giovane e vergine in cambio di una cospicua somma di denaro” spiega Sh., madre di una delle centinaia di bambine egiziane che ogni anno cadono vittime di “unioni temporanei” . Un sessantenne facoltoso alla guida di un SUV vaga per le strade accidentate in cerca di svago: in luoghi dove la gente non guadagna più di 2 dollari al giorno, quel lusso non passa inosservato. E’ così che il signore viene avvicinato da uno dei tanti mediatoridel luogo: “Come la gradisce la ragazza?” Dopo diversi sopralluoghi, il mediatore convince un padre di famiglia a dare in sposa la figlia per un periodo limitato. “E’ uno scambio più che equo”, pensa l’avido padre, “ti presto mia figlia per un po’ e in cambio ricevo soldi e possibilmente un lavoro nel Golfo per i miei figli maschi”. Il valore della dote dipende dal paese d’origine del futuro “marito a termine”, dalla bellezza, dall’età della ragazza e, ovviamente, dal suo essere ancora pura e vergine. I sauditi battono tutti, seguiti da emirati, kuwaitiani e giordani. I matrimoni sono celebrati d’estate, quando gli uomini d’affari del Golfo giungono in Egitto per pratiche di lavoro e non durano mai più di un paio di mesi. Il prezzo varia da un minimo di 800 EGP (90euro) per un giorno, a un massimo di 70.000 EGP (7500 euro) per l’intera estate; la quota va divisa tra mediatore e famiglia. L’uomo paga per abusare del corpo della ragazza, o per farla lavorare come domestica o prostituta. Allo scadere del contratto, la giovane è riconsegnata alla famiglia e spesso data in moglie più e più volte a seguire. La pratica dei matrimoni temporanei risale agli anni ’70, ma se nei primi decenni se ne parlava poco, il fenomeno ha cominciato ad avere un certo eco da cinque anni a questa parte.

Valentina G.

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