“La grande esplosione che nessuno vide”: lettera dal nostro corrispondente a Villavicencio in Colombia

Care amiche e amici,
La ley seca é finita. Tutti possono tornare ai negozietti pieni di gingilli caramelle pacchetti, e sedersi ai tavoli di plastica a bere la birra. Le elezionielecciones_colombia_3 sono terminate, e con esse il terrore della violenza che bandisce la vendita di qualsiasi tipo di alcol durante questa delicata operazione.
Il voto dura un giorno, dall’alba al pomeriggio, e il conto é veloce tanto che all’imbrunire le bande sono giá in strada a festeggiare. Ha vinto Marcela, quella del busto in cartapesta sul maggiolino. Ed é una vittoria storica, perché per la prima volta alla poltrona girevole della Gobernación del Departamento del Meta siederá una donna. Non é l’unica: Guajira, Cauca e Magdalena, dipartimenti con nomi di donna adesso sono governati da donne.
In una rotonda parecchio di passaggio a Villavicencio campeggia da mesi un manifesto gigante con l’immagine di Marcela. Una mattina la cittá si era svegliata con parte del manifesto incenerito dalle fiamme, una donna al potere é un’offesa. Giorni dopo appariva sulla macchia antracite una grossa toppa che ammonisce tutt’oggi “Juego limpio, señores” . Il richiamo al gioco pulito per i “signori” non é certo un caso e la scena provoca un certo impatto alla vista, ma girano voci insistenti che tutta questa storia sia stata COLOMBIA-ELECTION-RUN-OFF-VOTERSuna pagliacciata, una messa in scena dello stesso gruppo di Marcela per accaparrarsi la solidarietá dell’elettorato. Sará cosí? Chi puó dirlo. Resta il fatto che Marcela governerá il Meta e che le elezioni non si sono consumate senza violenza nonostante la ley seca. Ieri mattina a Güicán, nel departamento del Boyacá un agguato delle ELN trucidava 12 soldati dell’esercito nell’atto di portare schede elettorali nel paese. Sono in questo momento dispersi altri due soldati, un agente di sicurezza, due impiegati della Registraduría e persino una guida della comunitá indigena U’wa.

In veritá si dice di Boyacá che sia un dipartimento di gente tranquilla, campesinos semplici col cuore grande, in una regione montuosa e sempreverde che chiamano la Svizzera di Colombia. Mi trovavo a girare per questi posti qualche settimana fa, non lontano da dove avveniva ieri il massacro delle ELN, e quello che mi fa piú impressione é pensare che l’orrore é sempre dietro l’angolo anche quando pare di stare passeggiando per i paraggi piú ameni.
Una mattina dei tardi anni ’70 un gruppo di contadini boyacensi si trovava nell’atto di compiere il santo ufficio giornaliero del lavoro agreste, salvo imbattersi in un inquilino della terra piú veterano di loro. Un pliosauro, il fossile di un enorme dinosauro marino. Fino a circa 90 milioni di anni fa buona parte della Colombia era ricoperta dall’oceano, ed in questa regione di acque basse si sono conservati parecchi fossili di trilobiti, ittiosauri e giganteschi cronosauri risalenti al Cretaceo inferiore. Da quella mattina dei tardi anni ’70 i contadinparamilitares-en-1988i boyacensi non poterono più tornare a compiere il loro santo ufficio, perché attorno al mastodontico fossile si cominció a costruire un museo paleontologico.
La riconciliazione con la natura che cercavo in Boyacá si é convertita di colpo in un viaggio all’indietro attraverso le ere della roccia e della vita, dal presente Olocene con il suo brusio ininterrotto dall’era del selfie, all’Olocausto, la decolonizzazione, l’abolizione della schiavitú nera, i Lumi, alla rivoluzione scientifica, i conquistadores, il Dolce Stil Novo, le invasioni barbariche, ab urbe condita, Elena di Troia, le ziqqurat, le migrazioni dall’Africa allo stretto di Bering, la caccia allo smilodon, agli affreschi di Lascaux fino all’australopiteco; poi indietro verso il Pleistocene dell’ultima glaciazione, attraverso la cuspide del Mesozoico quando si estinsero i dinosauri, il cretaceo, il giurassico e il triassico dei rettili signori della terra, la grande estinzione allo scadere del Paleozoico di una biodiversitá mai recuperata dopo 250 milioni di anni, indietro per il momento miracoloso in cui gli anfibi alzarono le zampe e conquistarono la terra, la prima grande glaciazione, le prime forme di vita nelle acque attorno alla Pangea, la cellula eucariota nel brodo primordiale, l’origine ineffabile della vita, il proterozoico, l’arcadico, l’adico, la grande esplosione che nessuno vide.

E poi di colpo di nuovo qui, oggi. Come se fosse tutto. Nella storia delle cose dell’universo siamo un soffio flebile, relativo e precario, piccolo e capriccioso. Tutto é stato, si é fatto, si é distrutto, é cambiato, si é ricreato parecchie volte non solo senza di noi, ma senza intere generazioni di esseri viventi che nel loro momento di gloria hanno ingenuamente pensato di essere i padroni senza tempo di questo mondo.
Dai Sumeri a noi corre ben meno tempo di quello che ci misero due cellule per unirsi, e nonostante la gravitá di tutto ció qualcuno si prese lo stesso il permesso di scuotermi e spingermi via da un pannello esplicativo che fissavo imbambolato da 40 minuti.

Quindi suppongo che noi siamo di qui e di oggi, sarebbe un po’ perverso agire come se non lo fossimo. Per questa ragione e non per altro ho sentito il dovere di andare a festeggiare il compleanno in filosofia qui e oggi sulla spiaggia a Cartagena de Indias. Il mar Caribe non é necessariamente piú bello del mare di Sicilia, ma Cartagena é sempre (sempre) estate. Le mura costruite dagli spagnoli lasciano fuori una cittá umile con tetti di lamiera e canali sudici, racchiudendo una cittadella piena di fiori, rampicanti e balconi. Domina su tutto il grande castello di San Felipe, il forte inespugnabile che non si fece prendere dal piú grande battaglione mai posato in mare dalla corona di Inghilterra. Qui, in trasferta, si sono giocate le partite piú tese dei grandi rivali dei secoli XVI e XVII, Regno Unito e Spagna. Cartagena é Colombia, ma é monito del passato.
Se c’é un posto dove possiamo collocare mentalmente le scorribande degli inglesissimi pirati dei Caraibi, questo posto é la baia di Cartagena: era la porta di ingresso alle Indie, punto di ineguagliabile importanza strategica dove ai due estremi della grande baia due forti sorvegliano l’entrata alla via dell’oro.
Oggi restano nell’aria i fantasmi di spagnoli e inglesi e un vago olezzo di rum misto a pesce. Adesso questa é la casa della gente colombiana, dei villaggi di pescatori, degli stanziamenti spontanei, della gente trigueña che vive in simbiosi coi pellicani e col mare.

Mentre sto disteso sulla sabbia a crogiolarmi come una iguana mi prende il bisogno di andare a orinare. Mi allontano intontito cercando il punto piú riparato e solitario, e quando ho tirato giú lo zip mi accorgo di non essere solo. Un uomo di mezza etá con uniforme militare che non conosco, un grosso fucile ben in vista alla cintura, la mano poggiata sul calcio, sta fermo con una posa da bravo e mi guarda da dietro il filo spinato. Sulla spalla destra porta un grosso pañuelo piegato che scorre giù petto e schiena. Riconosco questo simbolo, e un singulto di paura mi stringe di scatto un nodo alla gola: un paramilitare!

Con immenso affetto a ciascun@ di voi, augurando a ciascun@ sempre il meglio,

Cesare Trentuno

 

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