La crudeltà della lapidazione

La lapidazione è un tipo di pena di morte, diffusa fin dall’antichità, nella quale il condannato è ucciso attraverso il lancio di pietre; spesso tale supplizio avviene con la partecipazione della folla. La lapidazione è stata usata fin dall’antichità per punire prostitute, adultere, assassini e, in alcuni paesi arabi, gli apostati e gli omosessuali. La finalità di tale pratica era sostanzialmente l’espiazione pubblica della colpa del reo ed anche la formalizzazione del diritto alla vendetta; difatti, gli stessi accusatori del condannato partecipavano attivamente al lancio delle pietre.

E’ un tema molto delicato, che vede come protagoniste le donne e l’ennesima espressione di violenza contro di esse: anche se secondo la legge islamica la lapidazione è applicabile ad entrambi i sessi, sono sempre le donne a subire questa inumana atrocità; la lapidazione è vista come il culmine violento della libertà delle donne sulla base di una moralità sessuale. Le donne sono le principali vittime, poiché percepite come portatrici di “onore” e, il fatto che commettano zina, ossia adulterio, è visto come una trasgressione più grave di quello commesso dagli uomini; la concettualizzazione delle donne come portatrici di onore arriva a far considerare lo stupro come adulterio, poiché viene visto anche come un crimine contro la morale e l’onore, e pertanto la donna, vittima di violenza, deve essere condannata a lapidazione in pubblica piazza.

Pochi anni fa, “Iran Human Rights Italia” ha reso noto che l’organo costituzionale iraniano non elettivo composto da 12 giuristi religiosi e incaricato di vagliare tutta la legislazione per accertarne la compatibilità con la Costituzione e la legge islamica, ha reinserito la pena della lapidazione correggendo una bozza precedente del nuovo codice penale iraniano in cui la lapidazione, come pena esplicita per il reato di adulterio, era stata omessa. La versione precedente proponeva l’abolizione delle disposizioni che prevedono la lapidazione a morte; la bozza modificata identifica invece esplicitamente la lapidazione come forma di punizione per le persone giudicate colpevoli di adulterio o di rapporti sessuali al di fuori del matrimonio. Ai sensi dell’articolo 225, se il tribunale e il capo della magistratura stabiliscono che “non è possibile” applicare la lapidazione, la persona può essere messa a morte con un altro metodo qualora le autorità abbiano provato il reato sulla base delle dichiarazioni rese da testimoni oculari o della confessione dell’imputato.

L’ultima lapidazione è stata resa nota da un video diffuso dai terroristi dell’Isis. Avvenuta  in una data imprecisata a Est di Hama, nella Siria centrale, anche il padre della vittima avrebbe preso parte all’abominio: l’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus) sottolinea, tuttavia, di non essere in grado di confermare l’episodio. Il video mostra il padre insieme ai combattenti dell’Isis che si rifiuta di perdonare la figlia. Rivolto alla donna, il boia dice: “Devi accettare, anzi devi essere soddisfatta perchè questo è il giudizio di Allah per quello che hai fatto e che tu sai di avere fatto”. Quindi le chiede: “Accetti il giudizio di Dio?” e la donna scuote la testa in senso affermativo. E’ proprio il padre che lega la donna con una corda e la conduce nella buca scavata nel terreno per la lapidazione; dopodiché diversi uomini cominciano a lanciare numerose pietre contro di lei, anche il padre, fino a quando la donna muore.

Pur non essendoci riferimenti diretti alla lapidazione nel Corano (seppure alcune Sure, come la 4:15, vengono ricollegate all’ambito contestuale di questo tipo di punizione), il fondamento giuridico religioso per la lapidazione viene individuato negli Hadith del Profeta (la Sunna), che rappresentano, unitamente al Corano stesso, la Sharia, ovvero la Legge islamica.

Le prime e più antiche forme di lapidazione sono presenti già nei racconti biblici; avveniva fuori dal campo, durante l’epoca nomade degli ebrei; il condannato veniva avvolto in un sudario bianco e seppellito fino alla vita, se si trattava di un uomo, e fino al petto, se si trattava di una donna, e la folla intorno a lui/lei scagliava le pietre. I testimoni erano tenuti a scagliare per primi la pietra. La legge biblica puniva con la lapidazione trasgressioni quali: il culto di altre divinità, l’incitamento all’idolatria, l’infrazione del sabato, l’adulterio, l’insubordinazione ai genitori.

Negli ultimi anni alcuni Stati hanno effettivamente condotto la lapidazione come pena di morte: Iran e Somalia, ma anche in Pakistan ci sono state delle condanne a morte per lapidazione, aggravate dal fatto di essere state eseguite a seguito di sentenze emesse da tribunali extra-giudiziali. Oltre che in Pakistan, la lapidazione, anche se non riconosciuta come sanzione ufficiale di morte, viene applicata in Afghanistan, Iraq e Mali. Si tratta di una punizione estremamente crudele e disumana; una violazione del diritto alla vita, così come sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici.

Una condanna a morte tramite lapidazione è una violazione del divieto di tortura così come stabilito dalla Convenzione contro la tortura, sottoscritta anche da Iran, Afghanistan, Iraq, Nigeria e Sudan, paesi dove invece viene a tutt’oggi praticata: la lapidazione in questi Paesi è parte di un sistema legale corrotto e repressivo caratterizzato dalla mancanza di un giusto processo, con confessioni forzate e condanne arbitrarie.

 

Valentina G.

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