EUTANASIA: quando il Parlamento discuterà della proposta di legge?

L’eutanasia, dal greco “buona morte”, consiste nel procurare intenzionalmente fine alla vita di un paziente, consenziesalutente e che ne ha fatto richiesta, per cui non ci sono speranze di guarigione.
Nel 1605 il filosofo inglese Francis Bacon introdusse il termine “eutanasia” nel saggio “Progresso della conoscenza”; Bacon invitava i medici a non abbandonare i malati inguaribili, e ad aiutarli a soffrire il meno possibile. Non vi era però il concetto esplicito di dare la morte: al termine “eutanasia”, Bacon, attribuiva solo il significato etimologico di “morte non dolorosa”.
Il tema dell’eutanasia ha origini molto antiche, infatti già nel Giuramento di Ippocrate viene detto:
“Non somministrerò ad alcuno, neanche se richiesto, un farmaco mortale nè suggerirò un tale consiglio”, ciò significa che già allora veniva richiesta da pazienti sofferenti una “dolce morte”.

Classicamente si distinguono due diverse applicazioni di eutanasia: quella passiva e quella attiva.
Nel caso di eutanasia passiva, la morte del paziente avviene per sospensione di un trattamento necessario per mantenerlo in vita; nell’eutanasia attiva è, invece, la somministrazione di una sostanza letale a porre fine alla vita.
Nell’ordinamento italiano al momento eutanasia e suicidio assistito sono atti entrambi punibili con il carcere fino a 15 anni.

Ad oggi, una proposta di legge di iniziativa popolare, chiamata “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”, giace negli scaffali del Parlamento senza mai essere stata inserita nel calendario delle discussioni.
Un ritardo intollerabile secondo l’Associazione Luca Coscioni, che ha promosso la proposta e che da anni si batte per avere una legge in Italia che regoli e faccia uscire dall’ombra i tanti casi denunciati di eutanasia illegale. La legge presentata dovrebbe tutelare sia il paziente nella scelta di morire con dignità, sia il personale medico di incorrere in sanzioni penali.

La dichiarazione anticipata di volontà sui trattamenti sanitari, più comunemente indicata come testamento biologico, è un documento in cui indicare a quali terapie ricorrere e soprattutto quali trattamenti rifiutare, in caso di grave incidente o malattia terminale, quando cioè si è incapaci di comunicare espressamente e direttamente il proprio volere. Nel nostro paese, l’unica discussione parlamentare su una legge sui temi del fine vita ha riguardato la possibilità di avere un testo di legge sul testamento biologico. Le difficoltà che rendono tortuosa la strada per avere una legge sul fine vita sono diverse perché sono tanti i quesiti in gioco da risolvere: come tutelare i diritti del paziente e allo stesso tempo quelli del medico, come definire e trattare gli stati vegetativi, come definire le terapie, come e se registrare la dichiarazione e come risolvere le controversie legate all’interpretazione del documento.
In Italia due sono le storie che hanno sollevato la discussione pubblica su tale argomento: quelle di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro.
Piergiorgio Welby, ammalato di distrofia muscolare, era stato costretto all’immobilità e dal 1997 alla respirazione mediante ventilatore meccanico; Welby si batte in tribunale per vedere riconosciuto il suo diritto a richiedere l’interruzione della ventilazione forzata da parte di un medico, senza farlo incorrere in sanzioni penali per omicidio. L’anestesista dà seguito alla richiesta di Welby per garantirgli “una morte opportuna”; nel 2007 il Giudice di udienza preliminare proscioglie il medico anestesista dall’accusa di omicidio, ordinando il non luogo a procedere perché il fatto non costituiva reato ai sensi dell’articolo 51 del codice penale sull’adempimento di un dovere.
Eluana Englaro ebbe un incidente in auto che le provocò un trauma cranio cerebrale a cui seguì uno stato comatoso. In mancanza di miglioramenti cognitivi, il coma si trasformò in stato vegetativo persistente. Il padre, diventato tutore della figlia e sulla base di conversazioni avute con Eluana prima dell’incidente, inizia la sua battaglia in tribunale per rivendicare il diritto a poter cessare l’alimentazione forzata così da darle una fine dignitosa.
Ogni settimana sessanta italiani chiedono aiuto alla Svizzera per morire dignitosamente: è stata perfino fondata un’associazione che si occuperà di dare informazioni, di accompagnare oltreconfine e aiutare economicamente, chi ha deciso di porre fine alla sua esistenza. Tra i fondatori troviamo Mina Welby e Marco Cappato dell’associazione radicale Coscioni: “E’ un gesto di disobbedienza civile” affermano, “rischiamo l’arresto per concorso in omicidio del consenziente, ma continueremo a farlo sino a quando il Parlamento non discuterà la proposta di legge che giace programmata da oltre un anno”.
Indro Montanelli difende il suicidio assistito con il coraggio che lo distingue da sempre.
Rita Levi Montalcini confessa che «in una grande sofferenza vorrebbe essere aiutata”.
A dispetto di chi lo vede come un pericolo, o peggio ancora come un crimine, il diritto di morire liberi è sempre più invocato: dalle famiglie e dagli ammalati senza speranza ma anche dai medici, che ormai praticano l’eutanasia ma tacciono pressati dalla durissima opposizione del loro ordine.
Valentina G.

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