Odissea è tragedia.. Odissea è bramosia, trauma, sfida volontaria o involontaria

arteOdissea è tragedia.. Odissea è bramosia, trauma, sfida volontaria o involontaria. L’odissea è la spinta dell’uomo che ha ottenuto e lasciato qualcosa dietro di sé, dell’uomo che si è ritrovato realizzato e poi sperduto.

L’uomo si è sempre posto come affermazione incrollabile nel proprio disfacimento psico-fisico che diviene odissea e attestazione della propria dignità.

Nell’anticipazione di questa possibilità di affermazione a negazione, ricerca e rinuncia, paura e avventura della vita, vien meno la serietà filosofica di quell’ atteggiamento di sovrana indifferenza di fronte alla morte.

L’odissea dell’uomo non è la vita in sè-che-scorre, ma l’attesa, l’attesa inesorabile della morte dalla quale “nullo homo vivente può skappare “…

La morte è quindi imminenza che sovrasta ma è un sovrastare che è anche immanente a noi stessi. Omero chiamava gli uomini “I Mortali” perché, conformemente alla nostra essenza “in tanto siamo in quanto a lei vicina abitiamo”.

L’essere dell’uomo sarebbe un poter-essere un poter-essere totale.

E’ qui la sua Odissea: come le ali di Icaro che spicca nel vuoto il volo verso abissi di curiosità, la sfida diventa esigenza dell’essere-uomo- limite- che si infutura nel non-limite su cui pesantemente e aprioristicamente ha deciso di approdare.

Ma, tatto più fertili appaiono i suoi successi, tanto più chiaro appare il limite davanti a cui dovrà naufragare.

Rimane così aperta la problematica se il naufragio sia annichilimento puro,e semplice o se invece nel naufragio venga a manifestarsi il proprio essere autentico per cui l’odissea del naufragio non sarebbe il naufragare ma l’eternare.

L’uomo raccoglie i simboli e i miti della propria vita e della propria esistenza, ma l’unico specchio su cui dovrà confrontarsi e con cui farà i conti sarà la coscienza del proprio limite che, come tale, va sempre ad infuturarsi ma che, una volta proiettato si rende conto di essere ma atomo dell’universo.

E’ li che l’uomo, nella sua coscienza acquisita, si modera e comprende che nulla potrà sfidare se non sé stesso.

E’ quest’uomo,che si sentiva affermazione incrollabile, diventa ora come Sisifo, mito della coscienza assurda, che non può porre più termine alla sua eterna ed inutila fatica.

Ecco forse il mistero ontico dell’uomo che ha perduto quell’armonia a cui Eraclito, Pitagora , Platone e più recentemente Kant hanno dedicato la vita e la loro opera» Potrà quest’uomo ri-tentare ancora?

 

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