LINEE GUIDA:Panni stesi in condominio quali regole?

Uno degli usi più frequenti delle parti comuni condominiali è quello dello sciorinamento, ovvero lo stendere i panni all’aria ad asciugare fuori dalle finestre del proprio appartamento .

Tale comportamento rappresenta un uso normale del diritto di ogni condomino soprattutto quando l’edificio comune non sia fornito di stenditoi, purché tale uso non sia vietato dal regolamento condominiale (che può imporre delle limitazioni all’esercizio di diritti dei condomini) o dall’ordine dell’Autorità.

Inoltre, non deve diminuire la luce ai piani sottostanti, non deve provocare gocciolii molesti ovvero non deve alterare il decoro architettonico dell’edificio tenuto conto della importanza e della località in cui si trova e purché l’uso stesso sia fatto con diligenza, accortezza senza recare turbative o danni agli altri condomini.

Accade, al contrario, che vengano stesi panni non ancora strizzati e, quindi, notevolmente bagnati causando un notevole gocciolio dal balcone o dalla terrazza, per di più coprendo in tutto od in parte i balconi e le finestre dei piani sottostanti, con ciò provocando litigi e battibecchi tra vicini.

Quando è vietato stendere biancheria dai balconi?

Innanzitutto, l’”immissione” non deve superare la normale tollerabilità in funzione della natura e dell’intensità della propagazione e, soprattutto, non deve diminuire in modo notevole la funzione essenziale dei balconi e delle finestre degli immobili sottostanti.

La molestia deve quindi essere di tale entità da risultare insopportabile senza ombra di dubbio ( si cfr. una recente sentenza della Cassazione – la n. 14547/2012 – la quale ha evidenziato il diritto del condomino a stendere i panni lavati a patto che non vi sia sciorinamento poiché non si può assoggettare l’immobile inferiore allo sgocciolamento del bucato bagnato).

Quali sono i rimedi contro tali abusi?

Stabilito che la risarcibilità del danno è ammessa quando l’immissione supera i limiti della normale tollerabilità , questa deve essere proposta contro l’effettivo occupante dei locali (inquilino o anche il proprietario che li abita).

Spesso, si è fatto ricorso all’ azione negatoria di cui all’art. 949 c.c. esperibile nei confronti di chi affermi di essere titolare di un diritto reale sulla cosa dell’attore mediante ingerenze, intromissioni o molestie che, se tollerate, potrebbero intaccare od essere pregiudizio del dominio dello stesso attore ( si cfr. la già citata sentenza della Cassazione – la n. 14547/2012 – con riferimento ad uno stenditoio che aggetta sul terrazzo sottostante).

Altre volte si è applicato l’art. 908 c.c. che vieta ai proprietari degli edifici di assoggettare il fondo inferiore allo scolo delle acque, oppure la fattispecie è stata più comunemente inquadrata nell’ambito dell’art. 844 c.c., applicabile nei rapporti tra condomini di uno stesso edificio quando uno di essi nel godimento della cosa propria o comune dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà dell’altro.

In proposito, è da tenere a mente che è vietato al proprietario di un piano o di un appartamento di godere della propria cosa in modo da produrre, nell’appartamento altrui, disturbi che superino la normale tollerabilità.

Inconvenienti od incomodi più o meno gravi che sono affidati alla valutazione del giudice, mancando per molte di queste ipotesi precise norme di legge.

In pratica può risultare piuttosto difficile dimostrare che determinati usi abbiano come unico scopo quello di arrecare danni agli altri condomini: quando si vive in un condominio bisogna sempre tenere a mente di non oltrepassare i limiti entro i quali il diritto stesso è contenuto.

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