La pena di morte, chiamata anche pena capitale, è l’uccisione di un individuo ordinata da un’autorità a titolo di sanzione penale

pena di morteLa pena di morte, chiamata anche pena capitale, è l’uccisione di un individuo ordinata da un’autorità a titolo di sanzione penale.

Non è prevista in tutti gli stati del mondo, infatti ci sono paesi dove è prevista per reati considerati gravi dall’ordinamento giuridico, come omicidio e alto tradimento; altri, invece, dove ritengono possibile la pena capitale anche per l’esecuzione di altri crimini violenti, come la rapina, lo stupro, o legati al traffico di droga; in alcuni paesi è prevista perfino per reati di opinione e per orientamenti e comportamenti sessuali come l’omosessualità o l’incesto.

 

Amnesty International si oppone incondizionatamente alla pena di morte, ritenendola una punizione crudele, disumana e degradante ormai superata, abolita nella legge o nella pratica, da più della metà dei Paesi nel mondo.

Nel 1977, quando Amnesty International partecipò alla Conferenza internazionale sulla pena di morte a Stoccolma, i paesi abolizionisti erano appena 16. Oggi, più di due terzi dei Paesi al mondo hanno abolito la pena capitale per legge: un numero di abolizionisti, 140, che ha ampiamente superato quello dei mantenitori, 58.

La tendenza mondiale verso l’abolizione della pena di morte ha conosciuto negli anni ’90 una decisa accelerazione, sostenuta dai principali organi internazionali come la Commissione sui diritti umani dell’Onu. A partire dal 2007, l’Assembla Generale delle Nazioni Unite, ha approvato una risoluzione che chiede una moratoria sulle esecuzioni e impegna il Segretario generale dell’Onu a riferirne l’effettiva implementazione e a riportare tale verifica successive sessioni dell’Assemblea. Tali risoluzioni, sebbene non vincolanti, portano con sé un considerevole peso politico e morale e costituiscono uno strumento efficace nel persuadere i paesi ad abbandonare l’uso della pena di morte.

 

Nel 2013, sono state eseguite condanne a morte in 22 paesi; la maggioranza delle esecuzioni, tuttavia, è avvenuta in soli sei paesi: Cina, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Stati Uniti d’America e Somalia.

Le nazioni più “forcaiole” sono in genere quelle dove i diritti umani vengono calpestati, in nome di un’ideologia o di una lettura radicale della religione.

In genere si tratta di impiccagioni o fucilazioni, non risultano lapidazioni se non quelle “fuori legge” effettuate in Pakistan da corti tribali o in Siria dai jihadisti dell’Isis.

Ma accanto a questi Paesi, l’attenzione dei rilevatori si è fermata a sottolineare le condizioni di poca trasparenza usate da alcuni Paesi occidentali nell’applicazione della pena capitale: si parla di Giappone e soprattutto di Stati Uniti. L’apparato giudiziario americano è stato messo in difficoltà dal rifiuto europeo di fornire i prodotti chimici necessari per l’iniezione letale. Il “no” della UE è stato imitato anche da diverse aziende, che temono un boicottaggio generalizzato dei loro prodotti, e rinunciano volentieri a vendere in Usa quantità poco significative dei componenti che vengono utilizzati per l’iniezione letale. . Negli Usa undici stati (su 32 che ancora adoperano l’iniezione letale) hanno adottato norme che prevedono il segreto sui chimici adoperati. Ma questa segretezza “salta” quando l’esecuzione diventa un disastro, con il condannato che muore di morte lenta fra sofferenze indicibili: è successo in Oklahoma, lo scorso aprile, a Clayton Lockett, morto 43 minuti dopo l’inizio dell’esecuzione. Un risultato che persino Barack Obama ha definito “profondamente preoccupante”.

La Cina, ne ha effettuate circa 4.000, l’80% del totale mondiale; l’Iran ne ha effettuate almeno 676; l’Arabia Saudita almeno 82; l’Iraq almeno 68; lo Yemen almeno 41; la Corea del Nord almeno 30.

Molti di questi Paesi non forniscono statistiche ufficiali sulla pratica della pena di morte, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto.

A ben vedere, in molti di questi Paesi, la soluzione definitiva del problema, più che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia, l’affermazione dello Stato di diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili.

Anche se la pena di morte continua a essere considerata in Cina un segreto di Stato, negli ultimi anni si sono succedute notizie in base alle quali condanne a morte ed esecuzioni sarebbero diminuite rispetto all’anno precedente. Tale diminuzione è stata più significativa a partire dal 1° gennaio 2007, quando è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna a morte emessa da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema. Il 25 febbraio 2011, il Congresso Nazionale del Popolo ha approvato l’emendamento al Codice Penale che riduce di 13 il numero dei reati punibili con la pena di morte, portandoli a 55. Le nuove norme sono entrate in vigore il 1° maggio 2011. I 13 reati sono di natura economica e non violenta, e i cambiamenti non ridurranno di molto il numero dei giustiziati considerando che riguardano reati che raramente comportano la condanna capitale degli imputati. Il 14 marzo 2012, l’11° Congresso Nazionale del Popolo ha approvato un emendamento che riforma la legge di procedura penale cinese in senso più garantista. Per la prima volta, la riforma chiarisce che le confessioni estorte con mezzi illegali, come la tortura, le deposizioni dei testimoni e le testimonianze delle vittime ottenute illegalmente, ad esempio mediante violenza o minacce, devono essere escluse durante i processi. L’emendamento è entrato in vigore il 1° gennaio 2012.

 

Secondo un monitoraggio effettuato da Iran Human Rights (IHR), che si batte contro la pena di morte nella Repubblica Islamica, in Iran le esecuzioni hanno subito un aumento spaventoso rispetto agli anni precedenti e con un drastico aumento di quelle in pubblico. Nel gennaio 2012, è stato approvato un nuovo codice penale che vieterebbe la pena di morte per gli adolescenti di età inferiore a 18 anni che non hanno ancora raggiunto la “maturità intellettuale”, ma alcuni esperti che hanno studiato il nuovo codice hanno messo in dubbio che l’Iran abbia completamente abolito la pena di morte per i condannati di età inferiore ai 18 anni. l’Iran ha continuato ad applicare la pena di morte per reati chiaramente non violenti. Nello scorso settembre, tre uomini sono stati impiccati nel carcere di Ahwaz, dopo essere stato giudicati colpevoli di reati connessi all’omosessualità. L’applicazione della pena di morte con condanne ed esecuzioni per motivi essenzialmente politici continua, ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni o per “terrorismo” erano in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, kurdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte.

Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e che vieta queste pratiche.

 

L’Europa sarebbe un continente totalmente libero dalla pena di morte se non fosse per la Bielorussia, Paese che anche dopo la fine dell’Unione Sovietica non ha mai smesso di condannare a morte e giustiziare i suoi cittadini. La Russia, sebbene ancora Paese mantenitore, è impegnata invece ad abolire la pena di morte in quanto membro del Consiglio d’Europa e dal 1996 rispetta una moratoria legale delle esecuzioni. Per quanto riguarda il resto dell’Europa, tutti gli altri Paesi l’hanno abolita in tutte le circostanze.

 

Ma a fronte del della questione pena di morte, c’è chi si schiera a favore e chi, invece, è contrario.

– Chi è a favore alla pena di morte si appoggia sul fatto che i cittadini incarichino lo Stato di promulgare leggi che li tutelino; nel caso in cui un individuo le trasgredisca al massimo grado, ovvero compiendo un omicidio efferato, questi automaticamente priva se stesso di qualsiasi forma di altrui rispetto e dello stesso diritto di vita, intesa come partecipazione attiva alla società umana. La pena di morte viene valutata solo nei casi in cui non sia possibile una rieducazione completa del reo ed il suo conseguente reinserimento nella società (il condannato sia recidivo nei confronti della legge, l’omicidio venga commesso assieme a molestie sessuali e/o torture e/o in casi di pedofilia, omicidio di minori o stragi e omicidi di massa).

– Chi è contro, basa le sue opinioni sui dati relativi ai paesi in cui la pena di morte è attualmente in vigore e alle procedure con cui essa è praticata,considerando la sua effettiva utilità.

Dal punto di vista etico, nessun uomo ha il diritto di uccidere un suo simile per qualsiasi motivo; così lo Stato, che agisce razionalmente, e in quanto garante della giustizia, non deve mettersi sullo stesso piano di chi si macchia del più orribile dei crimini: l’omicidio. Così facendo si fornirebbe a tutti un esempio di atrocità compiuto dalla legge stessa, mentre essa è stata creata proprio per la tutela dei diritti umani e quindi per quello della vita. Beccaria ha affermato che la pena di morte non è altro che “la guerra della nazione contro un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere” (Dei delitti e delle pene).

Il punto di vista sociale è rendicontato nel libro “Occhio per occhio” di S.Veronesi, che narra di quattro esecuzioni capitali avvenute rispettivamente in Sudan, a Taiwan, in Unione Sovietica e in California: emergono le immagini di uomini che, pur avendo commesso orribili crimini, sono allo stesso tempo vittime della società accanitasi contro di loro.

Dal punto di vista della funzionalità, la pena di morte oltre ad essere contraria ai principi morali non si è mostrata neanche una soluzione efficace contro il crimine: nei paesi in cui è applicata la pena di morte il numero di omicidi non diminuisce.

 

Negli ultimi decenni molti Stati l’hanno abolita.

Amnesty International distingue quattro categorie di Stati:

– in 40 Stati al mondo la pena di morte è ancora prevista dal codice penale ed utilizzata;

– 47 Stati mantengono la pena di morte anche per reati comuni ma di fatto non ne hanno fatto uso per almeno 10 anni;

– in 7 Stati è in vigore ma solo limitatamente a reati commessi in situazioni eccezionali, ad esempio in tempo di guerra;

– 101 Stati l’hanno abolita completamente.

 

Infine, in nessun caso, devono essere dimenticati quei Paesi che eseguono sistematicamente esecuzioni in maniera extra-giudiziale, al di fuori quindi della loro stessa struttura giuridica; la pena di morte è un sintomo di una cultura di violenza, non una soluzione a essa.

 

Valentina G.

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