Il successo dell’Ice Bucket Challenge

C’è chi lo amato e chi lo ha odiato ma il fenomeno virale ‘”Ice Bucket Challenge” ha funzionato: con i milioni raccolti per la ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è stato possibile finanziare studi che hanno permesso di individuare un nuovo gene, chiamato NEK1, che contribuisce all’insorgere della malattia.

Il “gioco” consisteva nel versarsi, o farsi versare, una secchiata di acqua ghiacciata in testa e poi sfidare un amico, conoscente o collega a fare altrettanto; il tutto accompagnato da una donazione alla ALS Association, organizzazione no-profit che raccoglie fondi per la ricerca su 9 cure per la sclerosi laterale amiotrofica (SLA).

All’epoca, alcune persone erano preoccupate dal fatto che la campagna non riuscisse nell’intento di “sensibilizzare” sul tema della SLA, in quanto la malattia sembrava passare in secondo piano rispetto allo spettacolo; se da una parte questi video avevano dato una grande visibilità al bisogno costante di fondi nella ricerca di una malattia come la SLA, dall’altra il fenomeno era stato criticato moltissimo perché effettivamente era difficile stabilire chi, dopo essersi divertito a fare il video, avesse davvero a cuore la causa e non il numero di follone sui social…e soprattutto se avesse davvero donato qualcosa dopo la doccia ghiacciata.

La campagna, però, è stata un successo e l’Ice Bucket Challenge ha raccolto oltre 115 milioni di dollari (circa 103 milioni di euro) solo per la ALS Association, destinati a finanziare la ricerca su nuove cure per la malattia.

La SLA è conosciuta anche come “malattia di Lou Gehrig”, ed è una patologia neurologica progressiva che provoca l’indebolimento e l’atrofizzazione dei muscoli a causa del deterioramento delle cellule nervose del cervello e del midollo spinale. Non esiste una cura, e la SLA porta sempre alla morte di chi ne è affetto, spesso in meno di dieci anni dalla diagnosi.

La SLA è una malattia rara, che può essere genetica o sporadica; la nuova ricerca è stata il risultato del più grande studio mai condotto sulle forme ereditarie di SLA, che costituiscono circa il 10 per cento dei casi totali. Il prossimo passo sarà capire esattamente come il gene NEK1 contribuisca alla SLA, e sviluppare cure basate su queste nuove informazioni.

È stata la collaborazione tra scienziati a livello globale a portare a questa importante scoperta”, ha detto con un comunicato John Landers della University of Massachusetts, uno dei ricercatori principali dello studio.

Il contributo al progetto da parte dell’Italia è arrivato con i ricercatori dell’Istituto Auxologico, Vincenzo Silani e Nicola Ticozzi che hanno pubblicato due studi scientifici sulla prestigiosa rivista Nature Genetics.

 

Valentina G.

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