I bambini rubati e lo scandalo adozioni

Bambini dichiarati morti al momento della nascita, rubati alle proprie madri e consegnati ad altre famiglie per essere allevati. Un’associazione a delinquere composta da suore immorali e ginecologi corrotti, e tante famiglie distrutte per sempre. Non è la trama di un film, ma la sconvolgente verità che ha iniziato a venire alla luce qualche anno fa e che, a causa della morte dei protagonisti, probabilmente non sarà mai completamente chiara; si stima che in Spagna, dal 1938 fino all’inizio degli anni ’90, con questo metodo siano stati rubati più di 300 mila bambini. Secondo i dati della Corte nazionale spagnola, i primi 20 mila casi si registrano tra il 1938 e il 1952, quando la Spagna era sotto la dittatura franchista e il regime militare sottraeva i neonati a quelle madri che appartenevano a famiglie repubblicane (di sinistra) per consegnarli ad altre famiglie con ideologie più vicine al potere dittatoriale, che li avrebbero educati nella fede cattolica. Dagli anni ’40 fino alla fine della dittatura, nel 1975, la metodologia d’azione è sempre stata la stessa: ai genitori naturali veniva comunicato che il figlio era morto, mentre in realtà veniva consegnato ad una nuova famiglia della quale veniva dichiarato figlio biologico. C’erano, però, tante famiglie che non potevano avere figli e che erano disposte a tutto per ottenerne uno; qualcuno ne ha approfittato per creare un mercato nero: dal 1975 al 1987 la compravendita di bambini si diffuse in tutto il paese, un business enorme per chi gestisce la reale domanda, e si occupa di creare l’offerta. È solo nel 1987, con la Legge sull’adozione, che viene garantita la protezione dei minori nella pratica dell’adozione. A partire da questa legge, tutto il processo dell’adozione viene controllato direttamente dallo stato e dalla pubblica amministrazione. Una legge del 1996 (protezione giuridica del minore) stabilisce, inoltre, il diritto dei figli adottivi di sapere chi sono i loro genitori biologici, cosa prima non possibile, infatti anche i “compratori” dei bambini spesso venivano truffati venendo loro raccontato che stavano facendo un favore a un neonato, visto che la madre lo aveva abbandonato.

Nel 2011 nasce l’associazione SOS Bambini Rubati, con l’intenzione di aiutare le vittime che hanno sofferto la detenzione illegale del figlio neonato (le famiglie) o l’usurpazione di identità (i figli). Quest’associazione si occupa, anche, di incitare le istituzioni pubbliche a scoprire la verità, per dimostrare la tratta di neonati in Spagna nello scorso secolo, sostenendo di essere vittime di un crimine contro l’umanità che non avrebbe mai dovuto avvenire.

Più bambini rubati, meno bambini adottabili: questa equazione , semplice quanto drammatica, è stata illustrata dal governo indiano che ha denunciato il legame tra i traffici (in aumento) di bambini e il numero (in calo) di piccoli adottabili: 1700 a fronte di 12.400 coppie indiane che hanno fatto richiesta di adozione. A New Delhi su 30 milioni di orfani stimati nel Paese, lo scorso anno soltanto 3.677 sono stati ufficialmente adottati: il 18% in meno rispetto all’anno precedente. Così l’ attesa si allunga e questo alimenta un commercio tanto redditizio quanto proibito. Per la legge indiana i bambini abbandonati alla nascita sono dichiarati disponibili per l’adozione al termine di una procedura che concede ai genitori due mesi di tempo per cambiare idea. Ma i trafficanti spesso riescono a impossessarsi dei bambini prima che i genitori, spesso ragazze madri, decidano di abbandonarli. Anche qui i neonati venivano sottratti con l’inganno: infermiere corrotte dicevano che i piccoli erano nati morti e a volte esibivano persino dei corpicini senza vita, conservati come prova; venivano poi venduti ai trafficanti: 100.000 rupie (1400 euro) se femmina, e tre volte tanto se maschio, riferiscono i media locali. “Scarto di genere”.

Bambini sottratti illecitamente alle loro famiglie per essere affidati a coppie italiane, enti autorizzati alle adozioni internazionali che si contendono minori con la forza e la calunnia e persino torture inflitte ai mediatori, è lo sconcertante affresco che emerge da un’inchiesta sulle adozioni degli enti italiani in Congo, lo stesso Paese che ha bloccato 151 bambini adottati da famiglie italiane per quasi tre anni. E’ scandalo adozioni in Congo: nelle sentenze di adozione i bambini sono dichiarati orfani, ma in realtà ci sono le loro famiglie che li reclamano. L’organizzazione in Africa ha potuto operare grazie alle presunte coperture e alle omissioni dei vertici dell’associazione “Aibi – Amici dei bambini” di San Giuliano Milanese; secondo le segnalazioni raccolte, i responsabili di Aibi non hanno denunciato quanto sapevano e hanno fornito informazioni non corrispondenti al vero. Nel tentativo di fermare l’indagine, diciotto bambini tra i 3 e i 13 anni, già adottati da genitori italiani e quindi con cognome italiano, vennero tenuti in ostaggio per un anno e mezzo in due orfanotrofi nella regione più pericolosa nell’Est del Paese africano. Una bambina, Amini, 9 anni, figlia adottiva di una coppia di Cosenza, scomparve nel nulla. I minori non erano adottabili perché non erano orfani, ma l’associazione italiana aveva già intascato i soldi dalle famiglie e ha collaborato alla messinscena di un rapimento da parte di inesistenti “bande armate”.

 

Valentina G.

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