Una finestra sul Medio Oriente: il burqa

A pochi passi dal Medio Oriente, le donne afgane vivono senza diritti e senza tutele. Con l’avvento al potere dei talebani, le donne sono state private di ogni diritto civile e forma di libertà. Prigioniere del burqa, il velo che le copre completamente, non possono frequentare scuole o università; non è loro consentito camminare per strada se non accompagnate da un uomo, marito o parente che sia. Private anche delle cure mediche, i medici non possono avere contatti con il corpo delle donne che sono obbligate a rivolgersi ad altre donne; gli uomini, in genere, possono anche scegliere di lapidare o malmenare una donna, spesso a morte, se osa mostrare solo un centimetro di pelle dal burqa.

Le origini del Burqa, risalgono al 1900 al tempo di Habibullah, sovrano dell’Afghanistan, che lo impose alle donne del suo harem per evitare che attirassero l’attenzione di altri uomini; si diffuse, poi, fra le donne dei ceti superiori, diventando un segno distintivo. Con l’arrivo del regime Talebano, è stato imposto come indumento obbligatorio per tutte le donne.

Di certo si comprende che il suo scopo è quello di limitare la libertà della donna per soddisfare le esigenze di una società maschilista. Va comunque sottolineato che, il Corano, testo sacro della religione islamica, parla di indossare il velo senza riferimenti alla copertura del viso:

“Le donne si coprano con i veli del capo entrambi i seni, non facciano mostra di ornamenti femminili se non ai mariti”.

Nella Sura 33 al versetto 59 si legge: “O profeta, dì alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si ricoprano dei loro mantelli; essi permetteranno di distinguerle dalle altre donne e di far sì che non vengano offese”: questi sono i versetti del Corano che portano le donne islamiche a coprirsi totalmente o parzialmente secondo l’interpretazione che ne danno.

Dounia Ettaib, vice presidente dell’associazione delle donne marocchine in Italia, ha affermato: “Non c’è da fare troppa teoria: il vero problema delle donne musulmane è il fondamentalismo. La condizione della donna non è determinata dal “Corano” ma dalle assurde interpretazioni che ne fanno certi uomini. La religione non è un ostacolo alla civiltà, soltanto l’integralismo fanatico lo è”.

L’11 giugno scorso la procura di Torino ha deciso l’archiviazione del caso di una donna di religione islamica accusata da un cittadino di indossare in pubblico un indumento tradizionale che la nascondeva agli occhi degli altri. L’accusa si basava sulla legge del 1975 che vieta di «rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo». L’archiviazione, da molti letta come uno sdoganamento dei veli integrali di origine islamica, è stata motivata dalla necessità di preservare la libertà di espressione religiosa della donna, diritto sancito dall’articolo 19 della Costituzione (tenendo conto che la donna, alla richiesta di farsi riconoscere, non si è sottratta).
Tra le varie ipocrisie legate a questo argomento c’è quella in cui il burqa è  considerato un “vestito”: se burqa fosse un capo d’abbigliamento allora lo erano anche le divise dei nazisti. Il burqa è rigido, parla una lingua a noi sconosciuta che va al di là della persona che lo porta in giro; è portatore di un messaggio preciso: il burqa non è un vestito.

di Valentina Gburqa

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