TATUAGGIO: da espressione di legame religioso e spirituale a simbolo di celebrazione dell’io individuale

tatuaggio bTATUAGGIO: da espressione di legame religioso e spirituale a simbolo di celebrazione dell’io individuale

 

 

Il tatuaggio è un segno visibile le cui dimensioni possono variare da molto piccole fino a ricoprire l’intero corpo; inoltre può essere:

–          provvisorio, facendo uso di pigmenti di origine vegetale come l’henné che hanno durata per solo qualche settimana;

–          permanente, dove i segni sono irreversibili in quanto ottenuti per mezzo di punture della pelle con aghi intrisi di inchiostro.

 

Questi segni, praticati con tecniche tradizionali o con l’ausilio di apparecchiature elettriche, lasciano sulla pelle una decorazione indelebile; i tatuaggi di questo ultimo tipo, nelle loro diversità di colorazione e ampiezza, non possono essere rimossi se non con l’utilizzo di appositi macchinari laser.

 

E’ ormai provato che il tattoo ha origini molto antiche: e’ stato ritrovato, in una grotta in Francia, un punteruolo molto appuntito ricavato da un osso di renna e che probabilmente fu usato per tatuare durante il periodo del paleolitico superiore. Scavi archeologici hanno riportato ala luce resti di uomini e donne tatuati vissuti fino a 6000 anni fa, appartenenti a popolazioni sudamericane, nordamericane, eschimesi, siberiani, cinesi, egiziani ed anche italiane.

 

Una delle testimonianze più antiche giunge dal confine italo-austriaco: nel 1991, sulle alpi Otzalet, viene rinvenuto il corpo congelato e ottimamente conservato di un uomo che gli scienziati ritengono sia vissuto circa 5300 anni fa. E’stato soprannominato“Otzi” e presentava in varie parti del corpo dei veri e propri tatuaggi, ottenuti sfregando carbone su incisioni della cute. I raggi x hanno rivelato fratture ossee in corrispondenza di questi tagli, da qui il pensiero che all’epoca, gli abitanti della zona, praticassero questa forma di tatuaggio a scopo terapeutico.

 

Su alcune mummie femminili dell’antico Egitto sono stati rinvenuti tatuaggi, come mostrano molte delle pitture funerarie.

 

I Celti utilizzavano il rito del tatuaggio per incutere timore nell’avversario: si tatuavano sul petto, portato nudo durante la battaglia, disegni molto articolati e in grado di spaventare gli avversari. Una volta si facevano ricavando inchiostro dalle piante, raccogliendo le foglie e facendole bollire, creando un prodotto denso, che poi veniva inserito sotto pelle grazie ad aghi rudimentali.

 

In Giappone il tatuaggio era praticato fin dal V° secolo a.C.,a scopo estetico, magico e per marchiare criminali. La nascita dei bellissimi tatuaggi orientali pare sia dovuta all’imposizione nell’antico Giappone di dure leggi repressive che vietavano alla popolazione di basso rango di portare kimoni decorati: in segno di ribellione queste persone cominciarono a portare, nascosti sotto i vestiti, enormi tatuaggi che coprivano tutto il corpo partendo dal collo per arrivare ai gomiti e alle ginocchia.

 

Chi si tatuava o chi veniva tatuato, erano persone che appartenevano a qualsiasi tipo di ceto sociale e che per diversi motivi, imprimevano un segno indelebile sulla propria pelle: delinquenti, schiavi, prigionieri, disertori, legionari, guerrieri, nobili, re, imperatori e tutti coloro che volente o nolente si tatuavano per distinguersi.

C’era chi si tatuava anche per appartenere ad una specifica categoria di persone come i primi cristiani tra i quali era molto diffusa l’usanza di tatuarsi la croce di Cristo sulla fronte; nell’undicesimo e dodicesimo secolo i crociati portavano sul corpo il marchio della Croce di Gerusalemme, questo permetteva, in caso di morte sul campo di battaglia, di fare in modo che il soldato ricevesse l’appropriata sepoltura secondo i riti cristiani.

Similmente i turchi si tatuavano simboli religiosi per garantirsi una sepoltura in terra consacrata.

 

Gli antichi romani credevano fermamente nella purezza del corpo umano: il tatuaggio era vietato ed adoperato esclusivamente come strumento per marchiare criminali e condannati.

Successivamente, in seguito alle battaglie con i britannici, che portavano tatuaggi come segni distintivi d’onore, alcuni soldati romani cominciarono ad ammirare i segni che portavano sul corpo ed iniziarono a tatuarsi anche loro i propri marchi distintivi sulla pelle.

 

Il termine “tatuaggio” è legato a James Cook, il quale, nel 1769 di ritorno dal suo secondo viaggio dalle isole del sud del Pacifico, trascrisse per la prima volta la parola “tattow”.

Derivata dal termine indigeno “tatu” o “tatau”, che letteralmente, significa marchiare, in realtà è un’onomatopea riferente il suono prodotto dal picchiettio del legno sull’ago impiegato per forare la pelle. “Tattow” entrò definitivamente nel vocabolario inglese, riscritto come “tattoo” per giungere infine nel nostro paese come “tatuaggio”.

All’epoca di Cook nasce il tatuaggio moderno occidentale: i marinai si facevano tatuare durante i loro viaggi in oriente, imparavano le tecniche e cominciavano a tatuarsi a vicenda. A Samoa era diffuso il “pe’a“, tatuaggio su tutto il corpo che richiedeva 5 giorni di sopportazione al dolore ma era prova di coraggio e forza interiore. Dagli appunti di Cook sappiamo che uno dei metodi principalmente utilizzati dai tahitiani per tatuare era quello di servirsi di una conchiglia affilata attaccata ad un bastoncino.

In Nuova Zelanda i Maori firmavano i loro trattati disegnando fedeli repliche dei loro “moko“, tatuaggi facciali personalizzati, ancora oggi utilizzati per identificare il portatore come appartenente ad una certa famiglia.

Dal viaggio di Cook fu riportato “Omai”, un principe polinesiano dal corpo completamente tatuato: ritenuto l’emblema del “primitivo” fu presentato ed esposto in pubblico come simbolo concreto della superiorità europea.

 

Cominciarono così, una serie di esibizioni in seguito divenuti letteralmente degli orribili “zoo umani” che riscossero notevole successo, tanto da definire la nascita di quello che venne definito come un “nuovo esotismo”; solo verso la metà dell’Ottocento il tatuaggio in Europa conosce una diffusione notevole attraverso le esposizioni di persone tatuate nei circhi e nelle fiere.

 

Si configura il fenomeno delle cosiddette “Circus Ladies”, il quale si concretizzava nell’esibizione di donne che avevano il corpo interamente tatuato. Prima fra tutte fu Nora Hildebrandt che, nel 1882, con i suoi 365 tatuaggi venne fatta esibire al Bunnell’s Museum di New York.

Qualche settimana dopo fu la volta di Irene Woodward, autoproclamatasi la “originale signora tatuata” e celebrata al suo arrivo negli Usa da un articolo sul New York Times.

 

La pratica del tatuaggio veniva a definire anche una “caratteristica” tipica, di alcune categorie di individui, i quali erano ritenuti vivere ai margini della società; per costoro il segno indelebile lasciato dal tatuaggio veniva a rappresentare sia l’attestazione del passaggio alla vita dei veri “duri”, sia un segno di virilità.

Il 1891 segna una data molto importante: l’inventore newyorkese Samuel O’Reilly brevetta la prima macchinetta elettrica per tatuaggio, rendendo improvvisamente obsolete le tecniche precedenti, molto più dolorose.

 

 

Giungendo a tempi a noi più vicini potremmo dire che il tatuaggio ritrova un suo posto sul finire degli anni Sessanta con la nascita del “movimento hyppie”, come simbolo contro la guerra del Vietnam e della lotta per i diritti civili. All’inizio degli anni Settanta, in Inghilterra la manipolazione del corpo in generale viene a costituire l’emblema della generazione Punk, con l’intento di derisione delle convenzioni dell’epoca.

 

Dall’inizio degli anni Ottanta, questa pratica esce definitivamente dalla dicotomia bene/male e, soprattutto, dalla clandestinità e dalla marginalità di un tempo, entrando nello scenario del mercato globale come un qualsiasi altro “accessorio” (occhiali da sole, borse e scarpe).

Le iscrizioni contemporanee non sono legati al senso identitario dell’intera comunità, anzi ne rimangono assolutamente estranee.

 

Ad oggi sono riconosciuti vari metodi utilizzati per tatuare, a seconda delle usanze nelle diverse parti del mondo: gli Inuit usanodegli aghi d’osso per far passare attraverso la pelle un filo coperto di fuliggine; nelle zone oceaniche il tatuaggio viene eseguito tramite i denti di un pettine di osso che fermato all’estremità di una bacchetta e battuto tramite un’altra bacchetta, forano la pelle introducendo il colore, ottenuto dalla lavorazione della noce di cocco; i giapponesi usano sottili aghi metallici e pigmenti di molti colori: la tecnica prevede che gli aghi, fissati all’estremità di una bacchetta che viene fatta scorrere avanti e indietro siano fatti entrare nella pelle obliquamente, con minor violenza rispetto alla tecnica polinesiana, ma comunque in modo abbastanza doloroso; in Thailandia e Cambogia è in uso una tecnica, simile a quella giapponese, nella quale vengono utilizzate una diversa posizione delle mani del tatuatore e una bacchetta di lunghezza maggiore; infine, la tecnica americana (che è diventata la tecnica occidentale) tramite una macchinetta elettrica, cui sono fissati degli aghi in numero vario a seconda dell’effetto desiderato: il movimento della macchinetta permette l’entrata degli aghi nella pelle, i quali depositano il pigmento nel derma.

 

La macchinetta elettrica, determina sensazioni vibranti ma non dolorose; la componente della sofferenza segna una netta spaccatura tra il tatuaggio odierno, di stampo occidentale, e quello del passato: in alcuni contesti, l’esperienza del dolore è fondamentale, in quanto avvicina l’individuo alla morte e la sopportazione del dolore diventa esorcizzante nei confronti della stessa. E’ inoltre indispensabile la perdita di sangue, quanto indicatore per eccellenza della vita: spargere sangue quando si esegue un tatuaggio, significa simulare una morte simbolica.

 

La prassi di guarigione per un tatuaggio consiste normalmente nell’applicazione di una fasciatura da rimuovere dopo 3 ore circa per sciacquare e eliminare il colore in eccesso; da quel momento si consiglia di far prendere aria al tatuaggio e di coprirlo più volte al giorno con una pomata lenitiva.

Un tatuatore ha il compito di iscrivere sulla pelle in modo indelebile un disegno: per la responsabilità conferitagli, egli deve essere persona coscienziosa e con profonda conoscenza del mestiere.

Al cliente che si reca per la prima volta nello studio di un tatuatore professionista viene dato un questionario igienico sanitario da compilare; il cliente va, inoltre, informato sui metodi adottati dallo studio per la sterilizzazione e la pulizia di ambienti e strumenti. Il tatuatore deve indossare guanti, camice e mascherina.

 

Le motivazioni per cui oggi ci si tatua sono distanti da quelle che contrassegnavano l’individuo come membro o non membro di una determinata tribù. Tali forme artistiche erano non solo espressioni per celebrare l’io individuale ma avevano legami più intimi relativi a convinzioni religiose, spirituali e magiche. In questi casi però molto spesso l’individuo non era libero né di decidere di essere “marchiato” né tantomeno di scegliere i motivi decorativi. Ancora oggi, nella tribù Dinka nel Sudan meridionale, le giovani donne sono obbligate a sottoporsi a riti che marcano ogni tappa della loro vita: dalla fertilità al matrimonio, dalla maternità alla menopausa. Differente per tecnica ma non meno dolorosa è la forma estetica per rispecchiare il proprio status, a cui si sottopongono le donne di alcune tribù delle montagne della Birmania: obbligatorio per le donne Kayan è il rimodellamento di collo e di gambe attraverso l’uso di pesanti anelli metallici. Come per il tatuaggio anche per il piercing sembriamo dimenticarci che le varie tribù hanno in realtà dei motivi diversi che vanno ben oltre il semplice desiderio di decorarsi. Seppur ancora è diffusa la convinzione che essa abbia solo una funzione estetica, in realtà i sottili gioielli al naso sarebbero il simbolo di sottomissione.

 

Valentina G.

 

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