Rio e lo sfollamento della povertà urbana

Il primo Paese sudamericano ad ospitare gli atleti di tutto il mondo ha messo in scena un’edizione dei giochi meno sfarzosa di quella di Pechino e meno suggestiva di Atene, ma molto più riuscita delle previsioni; e anche se l’organizzazione non è stata impeccabile e qualche problema di sicurezza c’è stato, le Olimpiadi di Rio si chiudono senza disastri e con un bilancio positivo.

Le Olimpiadi a Rio sono finite e già si pensa a cosa hanno lasciato alla città e ai cittadini: forse parecchie opere pubbliche, certo. Ma secondo alcuni critici aumenteranno le disuguaglianze sociali, perché i soldi sono stati investiti nelle zone più ricche della città. Nel 2009, quando Rio venne scelta per ospitare l’evento, il Brasile viveva un grande momento economico e il clima che si respirava era di ottimismo, ma oggi la situazione è molto cambiata: il Paese attraversa una profonda recessione economica e una grave crisi politica, senza dimenticare il virus zika e il problema della violenza di cui si rendono protagoniste non solo le bande criminali ma anche la polizia carioca. I critici puntano il dito sull’interesse economico del mercato immobiliare che ha dirottato le opere di infrastruttura verso le zone più agiate.

Sette anni fa Vila Autódromo non era altro che un tranquillo villaggio di pescatori situato all’estremità della laguna di Jacarepagua, di fianco alla pista dalla quale aveva preso il nome. Così come centinaia di altre favelas che costellano la mappa di Rio de Janeiro, era stato a lungo trascurato dall’amministrazione municipale, ed era perciò privo di quei servizi pubblici essenziali che rappresentano invece la norma nei quartieri più benestanti. Ma per le più di 600 famiglie che ci vivevano, quella era casa. La comunità, situata a meno di un chilometro e mezzo dal Parco Olimpico di Rio, è stata spazzata via per permettere al municipio di realizzare una nuova viabilità di collegamento alle strutture olimpiche. Gli organi d’informazione hanno documentato per anni il dramma di queste famiglie, riferendo gli impegni presi dai funzionari municipali di Rio: agli abitanti dell’Autodromo sarebbe stato concesso di restare dov’erano per l’intera durata delle Olimpiadi, e l’unico impatto che i giochi avrebbero avuto sull’area sarebbe stato di natura migliorativa. Dopodiché hanno raccontato il modo in cui i politici hanno tradito quegli impegni.

Ma la distruzione di Vila Autódromo non è una solitaria eccezione: le sei olimpiadi estive che si sono tenute dai giochi di Seul del 1988 a quelli di Pechino del 2008 hanno sfrattato con la forza o sfollato più di due milioni di persone, secondo un rapporto datato 2008 dell’organizzazione svizzera Centre on Housing Rights and Evictions.

Lo sfollamento della povertà urbana è un tratto caratteristico delle Olimpiadi moderne, una virtuale certezza, non un’eventualità imprevista.

A Rio così come altrove, i politici hanno presentato investimenti come un modo per migliorare la città nel suo complesso, a beneficio di tutti, ma in realtà i principali beneficiari delle Olimpiadi risultano i costruttori del posto e quelli provenienti dall’estero, a cui vengono assegnati gli appalti; così come le fasce più benestanti della popolazione nelle città che le ospitano, mentre i poveri finiscono per rimetterci.

I quartieri che si ritrovano investiti dai bulldozer pre-olimpici sono quasi sempre abitati da famiglie a basso reddito e rimpiazzati, poi, da abitazioni di maggior lusso, concepite per gente con redditi più elevati.

La città di Rio ha già reso noto che il suo Villaggio Olimpico diventerà un complesso di lusso.

Nella storia dei differenti impianti olimpici (sebbene tutti diversi tra loro, per dimensioni, costi, caratteristiche estetiche e storiche) pare che alcuni di loro condividano lo stesso destino: edifici, piste, piscine, stadi costruiti per ospitare grandi eventi internazionali divengono lo spettro di se stessi, appena finiti i Giochi. Il villaggio olimpico di Elstal, vicino a Berlino, dopo le Olimpiadi del 1936 fu usato come caserma: dalle truppe naziste prima, e da quelle sovietiche poi. Quando i russi si ritirarono nel 1992, il complesso fu abbandonato. A Sarajevo, invece, furono le bombe della guerra in Bosnia (1992-1995) a distruggere le infrastrutture realizzate in occasione dei Giochi invernali del 1984. Le piante hanno preso il sopravvento nel campo di beachvolley di Faliro e in quello di softball di Helliniko, due delle sedi delle Olimpiadi di Atene nel 2004. E mentre ad Atlanta, il vecchio stadio olimpico del 1996 è stato sostituito da un parcheggio, rimane in cattive condizioni il Linnahall a Tallinn, in Estonia, che ha ospitato le regate durante le Olimpiadi di Mosca nel 1980. Per tutti gli impianti, una triste trasformazione: da luogo che ha reso gli atleti delle glorie, a grigia memoria di un passato glorioso.

 

Valentina G.

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