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God Bless AmericaQuarantasette senatori del partito repubblicano hanno scritto una lettera indirizzata alle massime autorità iraniane nella quale sostengono che gli incontri che si stanno svolgendo a Ginevra tra una delegazione di cinque paesi occidentali e i ministri di Teheran, anche se dovessero arrivare a qualcosa di concreto, saranno poi smentiti e cancellati dai repubblicani quando vinceranno le prossime elezioni presidenziali. Per i conservatori di questo paese “pacta non sunt servanda”, ovvero  si disegna la fisionomia di una nazione che non mantiene la parola data e agisce come ‘double standard’. Una bestemmia per la cultura imperante anglosassone.

Questa iniziativa del GOP è uno dei titoli di testa dei media americani insieme agli incidenti e ferimenti di agenti della polizia in quella Fergusson, frazione di Saint Louis, dove il comportamento razzista delle forze dell’ordine ha innescato dimissioni a catena a cominciare da quella dello sceriffo.

L’attivismo dei senatori repubblicani americani a livello internazionale fa seguito all’invito rivolto al premier israeliano che si è esibito in un comizio al Congresso a pochi giorni dalle elezioni nel suo paese. Nel suo discorso Netanyahu ha criticato pesantemente le trattative in corso con l’Iran che hanno lo scopo di assicurare che non venga realizzata l’arma nucleare, mettendosi in aperta linea di contrapposizione con il Presidente della nazione che lo stava ospitando..

Sono centinaia di migliaia le firme raccolte in pochi giorni che stigmatizzano il “tradimento” dei senatori repubblicani accusati di anteporre gli interessi di partito a quelli della comunità nazionale.

In questo clima che si va facendo sempre più arroventato si inserisce anche la polemica nei confronti del principale e ipotetico candidato democratico ovvero Hillary Clinton. Si è scoperto che la signora ha utilizzato l’indirizzo di posta elettronica del Dipartimento di Stato, quando era ministro, per materie che esulavano dalla stretta amministrazione. Anche in questo caso i repubblicani stanno facendo l’ira di Dio e in larga parte sono riusciti a mettere in difficoltà la ex first-lady che ha dovuto ammettere di avere compiuto una leggerezza. In politica non si fanno prigionieri.

Questi episodi confermano come, al di là della mano sul cuore esibita in ogni cerimonia ufficiale, gli Stati Uniti siano caratterizzati da una profonda divisione sociale e culturale che si ripercuote in ogni livello della vita di questa nazione che ama presentarsi come l’unico vero modello di democrazia parlamentare.

Dopo la celebrazione dei 50 anni della marcia di Selma, dopo lo storico discorso pronunciato dal presidente Obama, dopo gli scontri razziali di Fergusson, l’America purtroppo sta dimostrando che le ferite della guerra civile conclusasi nel 1865 con oltre 600.000 morti e l’uccisione del presidente Lincoln, non sono rimarginate.

La metà della opinione pubblica americana non tollera che alla Casa Bianca vi sia un presidente afroamericano. Potrà sembrare una semplificazione eccessiva ma il frastuono della propaganda delle destre, alimentata da imponenti interessi finanziari e imprenditoriali, ne è la quotidiana conferma.

E’ proprio il caso di dire: “God bless America”, sperando che l’Altissimo trovi un po’ di spazio nella sua nutrita agenda dei guai mondiali.

Oscar
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Caro Oscar Bartoli,

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