MUSULMANE: VIETATO ANDARE IN BICI di Giusy Modica

L’attività sportiva, almeno sotto il profilo teorico, è uno dei mezzi per promuovere l’educazione, la salute emuslim-bike la tutela dell’ambiente, lo sviluppo e la pace, nonché valori sociali quali lo spirito di squadra, la competizione leale, la cooperazione, la solidarietà, i diritti umani.
Il diritto allo sport è legato ad una funzione di crescita armonica delle capacità fisiche e mentali, ed inoltre costituisce uno strumento di prevenzione di molte malattie.
Le Nazioni Unite riconoscono che il diritto allo sport trova la sua prima esplicitazione nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948), dove l’art. 24 affermava che ogni individuo avesse diritto al riposo e allo svago. Tuttavia, il riferimento allo sport non è esplicito fino a quegli anni e pertanto resta vago. Occorrerà attendere il 1978 perché il diritto allo sport per tutti sia esplicitato nella Carta Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica dell’Unesco, che con il suo primo articolo afferma: “La pratica dell’educazione fisica e dello sport è un diritto fondamentale per tutti”.
Nel 1979 si assiste ad un altro atto significativo nella cronistoria del diritto allo sport: la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, adottata a New York il 18 dicembre. Essa contiene un invito agli Stati membri affinché adottino le necessarie misure per eliminare, anche nel settore dello sport, le discriminazioni contro le donne. In particolare, si chiede ai Governi di assicurare le stesse opportunità di partecipare attivamente alle attività sportive e all’educazione fisica in generale e di tutelare il diritto di partecipare ad attività ricreative, sportive e culturali.
Nonostante siano passati quasi 40 anni dalla stesura degli articoli sopracitati, ad oggi determinate culture non accettano l’idea della donna sportiva.
Recentemente alcuni servizi, qui nel nostro paese, hanno visto protagoniste le donne musulmane e la bicicletta: alle musulmane, pur vivendo in Italia, è vietato andare in bici. Ali Abu Shwaima, presidente del Centro islamico di Milano, afferma:”è una questione di pudore, per la donna stessa”.
Qualcuna, fortunatamente, ha avuto il coraggio di ribellarsi, di rivendicare il diritto di pedalare libere, con o senza velo in testa e di partecipare alla recente “manifestazione di libertà e diritti” tenutasi domenica 13 marzo a Milano. Dalla moschea di via Padova numero 366 fino a piazzale Oberdan in Porta Venezia. Una passeggiata di 8 chilometri in bici, organizzata dall’Associazione donne musulmane d’Italia, dall’Unione delle mamme musulmane e Aim.
La scrittrice Sumaya Abdel Qader afferma: “non ne possiamo più d’esser vittime soltanto dei fatti di cronaca nera, o d’essere associate alle tradizioni di alcuni Paesi o nominate da estremisti fanatici che ci dicono cosa fare o no. Siamo libere di fare ciò che preferiamo e vogliamo usare la bici per tre ragioni fondamentali: come segno di emancipazione dai retaggi culturali, per supportare la sostenibilità ambientale, e anche per promuovere la sana attività fisica, spesso sottovalutata dalle musulmane figlie della prima immigrazione”.

Palermo
16 Marzo 2016

Giusy Modica

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