Le gambe della regina Nefertari?

Secondo gli autori dell’articolo apparso sulla rivista scientifica “Plos One” le gambe mummificate e conservate al Museo Egizio di Torino apparterrebbero alla regina Nefertari; la certezza non c’è e l’attribuzione sarebbe pari al 75%.

Nefertari è considerata una delle figure femminili più belle e influenti dell’antichità e la sua immagine compare in alcune delle pitture più celebri dell’antico Egitto: era la moglie più amata dal faraone Ramses II e, anche se lui dopo la sua morte ebbe altre spose, rimase lei la regina legata al suo regno. Il suo nome ha per significati: “la più bella”, “la perfetta”.

Le gambe riposavano da oltre un secolo ma solo da poco sono state identificate; lo studio effettuato è firmato da Michael E. Habicht dell’Università di Zurigo, Raffaella Bianucci dell’Università degli Studi di Torino e altri ricercatori.

Quando Nefertari morì le venne dedicata, nella Valle delle Regine, una tomba sontuosamente decorata: a scoprirla fu l’archeologo italiano Ernesto Schiapparelli, nel 1904. Anche se precedentemente saccheggiata furono inviati al Museo di Torino diversi resti, tra cui parte del sarcofago, oggetti del corredo funerario, un paio di sandali, parti di un paio di gambe mummificate (tibie e femori e una rotula) e trentaquattro figurine di legno con inciso il nome della regina, destinate a servirla nel suo viaggio nell’aldilà. Si era sempre pensato che potessero essere i resti della regina Nefertari, ma finora non c’erano prove scientifiche.

Sono state svolte analisi di vario tipo, tra cui la datazione con il carbonio-14, ed è emerso che le ginocchia erano di una donna di più di 40 anni, il cui corpo fu imbalsamato con le tecniche usate nel periodo di Ramses II, intorno al 1.250 a.C.. L’altezza della donna doveva essere di circa 165/168 cm: in realtà, molto per l’epoca.  I ricercatori hanno concluso che probabilmente la donna appartenesse ad una classe sociale elevata: sembra, infatti, che avesse svolto una quantità minima di lavori fisici.

 

Valentina G.

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