Il governo che si propone la precarizzazione di una componente della magistratura prevista dalla costituzione è un vero attentato all’autonomia e all’indipendenza dell’interno ordine giudiziario e democratico

Leggere le parole di Andrea Orlando sulla condizione dei magistrati precari, privi di tutele giuslavoristiche, pronunciate sabato al convegno di federmotMagistratura Indipendente (M.I.), storico gruppo associativo della Associazione Nazionale Magistrati, lascia esterrefatti e indignati.
Due ordini di ragioni colpiscono la sensibilità dei magistrati onorari, di cui il Segretario Generale di M.I. Racanelli aveva chiesto una più incisiva tutela e dei quali Orlando ha invece annunciato una ancora più accentuata precarizzazione.
La prima riguarda Orlando come esponente nazionale di quella sinistra italiana che ha sempre posto i valori del lavoro e della tutela dei lavoratori a fondamento della propria azione politica; che il Partito che fu prima che democratico comunista legittimi la precarizzazione quale strumento di risposta alla legittima richiesta di tutele previdenziali e assistenziali di operatori stabili della Giustizia italiana appare abnorme, contraddittorio e antistorico.
Sul piano dei ruoli istituzionali, poi, tale deriva autocratica è ancora più grave: il Ministro della giustizia ha nella Costituzione il compito di agevolare l’esercizio della funzione giudiziaria da parte degli operatori che la esercitano  curando la organizzazione giudiziaria.
Proporsi la precarizzazione di una componente della magistratura prevista dalla Costituzione è un vero attentato all’autonomia e all’indipendenza dell’intero ordine giudiziario e democratico.
Le legittime richieste di lavoratori sfruttati, riconosciute peraltro a livello europeo, non possono avere, in uno stato di diritto, come conseguenza, quella di un peggioramento delle stesse condizioni con l’aumento annunciato della loro precarizzazione. Affermare questo è contrario ai principi costituzionali e deve portare a nostro giudizio alle dimissioni immediate del Ministro che si è posto in conflitto con il buon senso prima,  con la Costituzione e l’Unione Europea poi. Solo nei primi anni dell’Ottocento i padroni rispondevano alle legittime richieste dei lavoratori  licenziandoli, ma quel tempo dovrebbe essere ormai passato.
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