Cielo e Terra sono simboli tra i più importanti e diffusi della Tradizione. Ju Jitsu tra la terra ed il cielo

ju jitsu1Cielo e Terra sono simboli tra i più importanti e diffusi della Tradizione. Gli archetipi che essi adombrano e disvelano assumono invariabilmente nell’antica cultura significati religiosi e cultuali di primo piano, ma costituiscono anche il fondamento di dottrine misteriosofiche tese alla comprensione delle grandi leggi dell’universo, della vita e dell’azione del mondo invisibile nella realtà sensibile. Se le immagini del Cielo e della Terra, ed i loro traslati analogici, come grandi metafore della realtà universa, non soltanto affiorano in ogni epoca e luogo da culture non collegate storicamente, ne geograficamente, ma ancora sopravvivono nel nostro pensiero e nel nostro linguaggio con lo stesso forte potere evocativo delle origini, nonostante la desacralizzazione su vasta scala della trionfante civiltà di massa e malgrado il misero fallimento delle ideologie alimentate dalle grandi, ma non mantenute promesse dell’era industriale, ciò, probabilmente è dovuto al fatto che Cielo e Terra sono più che espressioni della natura o semplici immagini o idee di essa: elementi tanto radicati nel nostro inconscio, sono divenute parti strutturanti della nostra stessa psiche, così come afferma la psicologia del profondo di indirizzo Junghiano.

In origine Cielo e Terra furono percepiti come enti reali, viventi e sacri, come principi trascendentali dotati di esistenza propria, i quali precedettero la manifestazione universale e la travalicarono.

Specialmente il Cielo, del quale la volta azzurra e gli astri sono l’espressione materializzata e sensibile, estrinsecò gli attributi dell’ente supremo: l’altezza infinita, lo spazio incommensurabile, la potenza che atterrisce (come il fulmine che dirompe nell’etere), la fecondità creatrice (la pioggia che vien giù), l’ordine infrangibile dei suoi elementi (i movimenti regolari degli astri), i segni di tripudio e magnificenza (l’arcobaleno). Se le cose che la Terra genera hanno un principio e una fine, sono dunque limitate e corruttibili, il Cielo, al contrario, mostra cose incorruttibili ed eterne. Il Cielo è stato, e sarà, come fu creato in origine, nell’illud tempus. La contemplazione del Cielo, avverte Mircea Eliade, è già un atto religioso perché esso rivela immediatamente e sempre come un mito grandioso e senza fine la sua bellezza, la sua forza e la sua sacralità.

Le regioni celesti inaccessibili all’uomo, le lontane zone sideree, le stesse stelle acquistano le valenze e il segno di patria d’origine degli esseri supremi primordiali, dei fondatori delle grandi civiltà, dei salvatori dell’umanità, degli eroi che superano il vincolo ed il limite delle forze della realtà terrestre e stabiliscono lassù, ove tutto è luce, eternità ed incorruttibilità la loro dimora perpetua.

Il Cielo, dunque, è percepito dagli antichi come una diretta promanazione del sacro, ma costituisce anche una meta: l’individuo, attraverso l’Ascesi, attraverso cioè la progressiva palingenesi della sua componente terrestre, può accedere al Cielo, cioè mondo superiore, al mondo degli dei: può essere dio esso stesso risvegliando e alimentando la divinità che è in lui.

Non meno importante nello spiritualismo primitivo è l’archetipo simbolico della Terra. Anch’essa vive nel mito come un ente trascendentale, come sostanza primordiale generatrice delle forme viventi, come materia necessaria e imprenscindibile alla manifestazione universale, perciò come «madre» dei viventi ricettacolo della forza promanante dall’alto della quale essa è garante e custode, ma allo stesso tempo, come limite, origine, punto di arresto di quella stessa forza e perciò suo inevitabile elemento di negazione e di contrapposizione: tuttavia necessario perché il Cielo non potrebbe esistere senza la Terra, e viceversa.

Lo spiritualismo della tradizione, fortemente ancorato alle dinamiche dei due elementi primordiali.

Cielo Terra, da essi ricava il principio metafisico della «DIADE» (la dualità originaria e perpetua) e la dottrina della «DOPPIA NATURA». Secondo questa dottrina, ciò che noi definiamo «realtà», è il risultato di un continuo confronto tra forze ordinatrici agenti nell’universo, definite dai greci «cosmos», e forze disgregatrici che agiscono nel senso opposto, definite «Caos». Vi è dunque un piano di esistenza superiore da cui traggono origine le prime, e vi è un piano inferiore a cui appartengono le altre. Quello è la compiuta espressione di un ordine soprannaturale e spirituale retto dalle immutabili leggi dell’ESSERE, ed è fonte di ogni purezza, perfezione e compiutezza, questo è la base operativa dell’ordine più basso della natura, attiva il potere assorbente della materia, esprime le leggi del DIVENIRE, è fonte di impurità ed imperfezione, dell’«eterno stato di privazione» delle cose corruttibili. Il primo fu identificato col CIELO e col principio VIRILE, valse come l’essere REALE; l’altro fu simbolizzato dalla TERRA e dal principio FEMMINILE, e rappresentò tutto ciò che è effimero, illusorio e IRREALE. Si ritenne che i due ordini fossero indissolubilmente legati pur nella loro diversità da un perenne, necessario rapporto dialettico, e si colse nella dinamica dell’universo il continuo interarsi del Cosmos col Caos, del Cielo con la Terra, del Maschile col Femminile. L’uomo tradizionale si disse «figlio del Cielo e della Terra», ma al Cielo esso attribuì tutto ciò che è bello, buono e vero, l’immagine di un padre salvifico (da ciò la natura celeste di dei ed eroi), mentre dalla Terra esso ricavò l’esperienza dell’orrido, ogni forma di panico per le tremende prove cui era sottoposto a causa della ostilità della natura, il senso della precarietà della propria esistenza continuamente esposta ai pericoli di forze ostili.

Ma l’idea dei due piani perennemente interagenti la troviamo espressa soprattutto nei simboli, nei miti e nella iconografia dei culti più antichi.

Prendiamo, per cominciare, il «TAICHI» taoista. In questa immagine, che riproduce ideograficamente la dialettica Yin (femminile) – Yang (maschile), un cerchio è diviso in due metà uguali da una linea sinuosidale; una parte è nera (Yin), l’altra bianca (Yang), e non casualmente la lunghezza delle due semicirconferenze intermedie è uguale a quella della circonferenza esterna. Così, infatti, il contorno di ogni metà Yin e Yang è uguale al perimetro totale della figura. Come dire che il Cielo e la Terra sono legati l’uno all’altro e si stringono mutualmente. Bisogna inoltre osservare che la parte Yang ha nel suo centro un punto yin, e la parte Yin ha un punto yang, segno della INTERDIPENDENZA delle due parti.

Vi è dunque una traccia di «Luce» (yang) nell’«Ombra (yin) e un segno d’Ombra nella Luce»: il Cielo confluisce nella Terra e la Terra si proietta nel Cielo. Benché rappresentino i due contrari, Cielo e Terra non si contrappongono mai in modo assoluto perché tra essi vi è sempre un principio ed un fondo di «mutazione» che permette una continuità: spazio, tempo, uomo, ambiente, tutto il creato è tanto yin quanto yang; simultaneamente ogni cosa li contiene entrambi (lo yin e lo yang) attraverso il suo divenire e il suo dinamismo, con la duplice possibilità di evoluzione.

La DIADE METAFISICA CieloTerra è espressa nel noto simbolismo dei trigrammi dell’«I KING» ove la linea spezzata ( ) corrisponde ancora alla terra e al femminile (yin), mentre la linea intera () è l’immagine del Cielo e del maschile (yang).

In occidente gli stessi elementi per lo più si rinvengono nell’immagine della croce (+) in cui il braccio orizzontale rappresenta la stasi propria dello stato fenomenico della materia, cui si sovrappone l’intersecante linea verticale che esprime la pulsione verso l’alto, quindi la «trascendenza» o più semplicemente il moto ascensionale di ciò che in forma sottile e sublimata tende naturalmente a salire.

Il dualismo Cielo-Terra, Spirito-Materia, Maschile – Femminile è alla base di ogni forma di religiosità del mondo tradizionale ove, non a caso, vi è una notevole ritualizzazione delle pratiche nuziali il cui fine è proprio quello di creare una catena di unione tra la sfera materiale e le sfere superiori, e di sacralizzare al contempo l’unità della coppia.

Per tal motivo il tema dello «ieros gamos», del sacro connubio tra Cielo e Terra, è il motivo ispiratore di una moltitudine di cerimonie cultuali e di pratiche misteriche che tendono invariabilmente a provocare una rottura di livello e la conseguente effettiva irruzione negli officianti delle folgoranti forze cosmiche del Maschile e del femminile (espresse in forma di deità e allo stato puro), imbrigliando e dirigendo le quali si acquisiscono possibilità demiurgiche, il potere plasmatore e il controllo sulle forze oscure del caos e sulla natura ostile.

La tradizione indù celebra le «sacre nozze» nell’unione indissolubile della coppia divina PURUSHAPRAKRTI, in cui il Maschio primordiale Purusha, emblema della pura luce, figura nella iconografia olimpicamente distaccato e impassibile, ma allo stesso tempo attivo nella sua apparente immobilità (similmente all’Ente aristotelico, il noto «motore immoto»). Il sacro connubio e le correlate implicazioni cosmologiche e cosmogoniche sono il basamento del Tantrismo tradizionale che, nelle scuole della «mano sinistra», si ispira alla coppia degli dei SHIVA e SHAKTI rappresentati saldamente avvinti nell’amplesso invertito, il VIPARITAMAITHUNA.

Le divinità primigenie «Ouranos» (il Cielo) e «Gaia» (la Terra) riprese nella Teogonia esiodea nell’atto di copulare, come pure le coppie Osiride-Iside, Gheb-Nut della religiosità egizia e tutte le altre coppie divine della Tradizione esprimono la stessa idea.

L’Ieros gamos è la massima allegoria del segno della Bilancia, che come è noto, esprime l’unione del maschile col femminile, ossia l’equilibrio delle polarità raggiunto attraverso l’azione combinata delle loro diverse qualità (un piatto sale tanto quanto l’altro scende).

Passando all’interessante opera «JuJitsu tra Cielo e Terra» del nostro maestro e amico, Antonio Lufrano, noteremo anzi tutto che il riferimento all’antico simbolismo della diade Cielo-Terra, sul quale ci siamo soffermati non casualmente, può sembrare fuori luogo, se si considera il JuJitsu una semplice arte marziale o, peggio, una disciplina sportiva, come generalmente accade oggi per le arti marziali.

Se per contro, come efficacemente spiega Antonio Lufrano, della «Dolce Arte» si tenta una lettura diversa e in essa si ricercano l’essenza occulta, i fondamenti originari ed il suo fine non dichiarato che è, precisamente, il percorso di una via eroica che posta all’Ascesi attraverso l’autodisciplina, il sacrificio, un nobile intento e un comportamento impeccabile, la «Dolce Arte» allora sarà restituita all’ambito spirituale aristocratico, e riservato dal quale essa è scaturita, prima che l’impietosa legge del tempo la logorasse e la riducesse a pratiche da «palestra», per fortuna ancora poco note e poco praticate in occidente.

Avendo praticato da anni e tuttora praticando la «Dolce Arte» tale disciplina ci apparve all’inizio e ci appare tuttora, nonostante il conseguimento della cintura nera (che ci ha dato più dubbi che certezze), come l’arte dei paradossi, ove comuni regole stratificatesi nella nostra mente e nel nostro comportamento sono radicalmente sovvertite per il conseguimento di un utile risultato.

Prescindendo da ciò che il JuJitsu ha di comune con le altre arti marziali, quali l’ossequio al maestro, il codice deontologico, l’estremo rispetto di «UKE», l’avversario, che si ringrazia prima e dopo… averlo «tramortito», la nostra disciplina concepita come strumento di «AUTODIFESA», è caratterizzata da una specie di costante alchimia della realtà in cui una forza mobilitata contro di noi con un attacco alla nostra persona, si converte per virtù di un semplice gesto, in una forza che si rivolta contro il nostro aggressore il quale, perciò, si autoelimina.

Sin qui la «Dolce Arte» potrebbe solo stupire per l’estrema efficacia delle tecniche e per il grande risultato che consente di ottenere utilizzando materia prima altrui.

Ma vi è dell’atro: l’agire senza agire (noto concetto dell’esoterismo non solo orientale), l’autodifesa, su un piano più elevato dove conduce? Qual’è il vero e più grande avversario che dev’essere vinto con strategia attenta, con l’impiego di ogni mezzo, nella speranza di un grande risultato?

Questo nemico gelido, tentatore, sempre in agguato, è costituito dai nostri preconcetti, dai nostri vizi, dalle nostre debolezze, dal nostro corpo corruttibile, dai difetti caratteriali congeniti e acquisiti, dalla miopia dei nostri occhi che non colgono le realtà spirituali, dalla dittatura dei nostri sensi che dominano la nostra volontà, e per conseguenza dalla mancanza di punti stabili della nostra esistenza, in cui molto ci accade per destino o per caso e ben poco è determinato dal nostro volere.

Ma prescindendo dal fine ascetico del vero Jujitsu, ampiamente trattato nell’opera di Antonio Lufrano, ci preme piuttosto sottolineare come il titolo «JuJitsu tra Cielo e Terra» sia un titolo particolarmente appropriato ai contenuti e ai fondamenti della nostra disciplina.

In effetti la pratica della «Dolce Arte» raffina e libera lo spirito perché coniuga nelle sue difficili pratiche:

• INTELLIGENZA, sub specie di SAGGEZZA, DESTREZZA e ACCORTEZZA;

•   BELLEZZA, in quanto nelle tecniche risaltano la morbidezza, l’armonia dei movimenti e l’azione estremamente coordinata e composta di tutte le parti del corpo che si muove;

•   DISTACCO, perché durante la tecnica la mente e «VUOTA», non è concentrata sul risultato, è tutt’uno con l’azione, con la «giusta azione»: vincere o perdere non rileva, ciò che conta è il corretto agire;

•   VIRTÙ, perché senza un impegno diuturno, senza il costante esercizio del corpo che mano a mano svela insospettate possibilità e nel quale si risvegliano forze latenti, senza l’asservimento del corpo alla mente, nessun risultato è possibile.

Accade, perciò, inevitabilmente che lo spirito dell’allievo, sotto la guida attenta e rigida del maestro, reso più leggero e sempre più aperto e attratto dalle energie cosmiche ordinatrici che, vorticando in alto, captano il suo essere e convogliano la sua azione, vince progressivamente la pesantezza della sua compagine materiale, terrestre, umida e lunare, e di giorno in giorno lentamente ascende dalla «Terra» al «Cielo».

Analizzando poi, specificamente, talune tecniche del JuJitsu, precisamente quelle che si realizzano col sollevamento dell’avversario e la sua proiezione, si potranno cogliervi diversi significati connessi alla tradizionale dialettica Cielo – Terra.

In questi casi l’avversario, che prima è spinto verso l’alto, quindi verso il Cielo, e poi è lasciato precipitare verso il basso, verso la Terra che, a causa degli effetti devastanti di una simile caduta, divenuta la sua «tomba», è l’espressione simbolica delle forze brute e disordinate della natura, soggiogate dalle forze superiori, mobilitate dall’azione intelligente ed ordinatrice del Cosmos.

Così, dunque, il JuJitsu può porsi tra Cielo e Terra e assumerne la funzione di punto mediatore. 

Armando Profita

ju jitsu

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