Agricoltura: una risorsa troppo a lungo dimenticata e disprezzata che succede se i colletti bianchi riscoprono la zappa?

Era il 2005 e partecipavo ad un Corso di aggiornamento, a cura del Team formazione di MF, sulla riforma della legge sulle cooperative ed il suo adeguamento alle società a responsabilità limitata; l’obiettivo era quello di portare la grande esperienza costruttiva ed istruttiva del sistema coop all’interno delle società di quote al fine di generare un’inversione di flusso delle risorse economiche aziendali da dentro-fuori a dentro-dentro, almeno parzialmente, iniziando quello che poi diventerà uno dei fattori cardine dell’implosione del mercato al consumo fine a se stesso a favore di un mercato solidale. Uno dei fattori della crisi odierna si deve alla poca lungimiranza dei mercati di beni al consumo in questa direzione, e, di conseguenza di una larga fetta dell’industria di tipo tradizionale.

Ma non ne voglio fare una disquisizione non essendo né un esperto né un tecnico; pagai il corso, allora, per avere uno sguardo lungo sul futuro delle configurazioni aziendali da ignorante, e, alla fine, sempre da ignorante, chiesi ad uno dei relatori della giornata un colloquio personale ponendo, tra le altre, la più banale delle domande: “pur volendo rispettare la regola della differenziazione di investimenti, non solo di risorse economiche, ma valutando anche gli investimenti diversi ed onerosi sulle risorse umane e intellettuali, quale secondo lei potrebbe essere il mercato sul quale fare maggiore affidamento per il futuro a medio e lungo termine?”; la risposta mi spiazzò: “io” mi disse “mi occupo da anni di finanza, investimenti in titoli aziendali e in aziende in start up, per conto terzi, con grande soddisfazione dei miei clienti, ma quello che ho guadagnato per me l’ho sempre investito nell’alimentare; l’agricoltura in genere, ma in Italia in particolare, è la base indispensabile di ogni ricchezza e salvaguardarla è un’operazione due volte intelligente: economicamente e socialmente”.

agricoltura-fieno_800x532Sono passati dieci anni, ma sembra quasi un secolo guardando come è cambiata l’economia, eppure quella frase, che ha, oggi per me, più che mai valore, comincia ad averne anche per altri; tornare alla zappa si può? È indice di arretratezza di fronte alle conquiste dell’industria e della tecnologia? Per gli addetti al settore, e sono tanti, la BASF in testa, che da anni indirizzano i loro sforzi in questo senso sicuramente no, ma per l’opinione pubblica, che ha guardato sempre a questo “lavoro” con un malcelato senso di superiorità e di disprezzo, forse è arrivato il momento di chiedersi da dove e come arriva il pane caldo sulla tavola, e rendersi conto che non è scontato che debba arrivare.

E parlo della opinione pubblica perché essa ci rappresenta in ogni momento della nostra vita: essa determina pensieri e azioni di ognuno di noi, le nostre scelte politiche e sociali, il fare e il non fare, l’agire o il delegare, il partecipare o lo sfruttare; ora può sembrare, detta così, che i termini secondi come non fare, delegare o sfruttare, siano negativi o da furbetti, mentre è nella mancanza dei primi che essi, pur nella loro utile funzione, perdono significato e importanza, o, addirittura, si rivoltano; un esempio, per cercare di essere più terra terra, può essere quello tra azione e delega: chi agisce costruisce prima, per insegnare e delegare poi ad altri ciò che lui ha fatto, e di conseguenza, fare altro mentre gli altri crescono indipendenti invece di venire soffocati dalle imposizioni; l’alternanza crea equilibrio, movimento e ricchezza, e la ricchezza è felicità, ma questo lo sapete da soli e spiegarlo non si può. Quello che si può, e si deve fare, è, invece, sviluppare sempre un sano spirito critico, e non bersi tutto quello che ci propinano le tivù.

di Enzo LI Mandri

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